domenica 31 maggio 2020

E SE "CONVIVENZA" DEV'ESSERE...


Quando al momento giusto due persone decidono per la convivenza, credo nessuno consigli loro o addirittura imponga tempi e modalità. Buonsenso e responsabilità e coscienza saranno unici arbitri, e giudici se è il caso. Allora qualcuno cortesemente spieghi perché... confermato quasi nullo il rischio contagio... convivere con il virus è reso ancor più pesante dai fastidiosi "ronzii comunicativi", raccomandazioni che sembrano minacce, voci monotone che non sanno dire altro che il contrario del giorno prima.
Ehhh... mi si risponderà....nessuno ha scelto questa convivenza. Si è costretti a viverla e perciò si cerca di limitarne i danni.
Va bene, replico... e ok... l'odiosa mascherina, il distanziamento, alcun assembramento... ma perché nonostante ogni cautela devo continuare a sentirmi in colpa o triste? Anche se vedo da lontano un'amica e mi viene voglia di andarle incontro ed abbracciarla. Tranquilli, continuerò a controllarmi, non farlo, e a non sentirmi fiera per questo. Dopo tre mesi, comunque credo sia il momento di darsi una regolata, e avviarsi per una modalità di convivenza responsabile ma "personalizzata".
Non si può pensare sempre alla stessa cosa, non si può temere all'infinito, occorrono pause anche brevi per ricaricarsi di ottimismo, cercare l'occasione per una risata pure ricorrendo ai ricordi, e poi spostarsi più avanti coi pensieri, ovviamente "propositivi".
I pensieri propositivi sono più che positivi, fatti di progetti diventano generosi dispensatori di speranza.
E infine non guasta l'ironia, sdrammatizza e non è mai vana, soprattutto quando l'oggetto/soggetto siamo Noi. Perché tornare a ridere di se stessi sarebbe come sempre un toccasana a lento rilascio.
Giusto ciò che serve per paturnie senza fine.

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