martedì 28 febbraio 2017

PREZIOSAMENTE... AGATA


Noi del GAMA non posiamo né riposiamo mai. Per saperne di più, per integrarci al massimo con la realtà che ci compete, per "fare rete", quella che serve a sorreggere nelle cadute imprevedibili, a proteggere e salvaguardare.
A tale scopo siamo partiti in "missione" per un breve ma intenso incontro con i medici della Breast Unit locale che proprio in questi giorni compie un anno, e la neonata associazione "Agata", un sodalizio di donne per le donne malate di tumore al seno, motivato dalla ferma convinzione che la malattia si supera anche con l'aiuto reciproco, il confronto e la personale testimonianza. Ed anche facilitando un percorso già difficile per sé, appianando le difficoltà, rendendolo in un certo modo "guidato", dalla diagnosi all'intervento, alla chemio e radio, fino al traguardo del Follow Up. E in seguito senza trascurare il periodo del post tumore, erroneamente considerato facile da vivere.
L'Associazione AGATA si occupa di questo, interagendo con la Breast Unit, garantendo supporto certo e prospettando miglioramenti nelle "criticità" ospedaliere che purtroppo non mancano.
La Presidente è Alessandra Ena, un'infermiera dell'Azienda, moglie di uno dei chirurghi della Breast, anche lei recentemente colpita da un tumore al seno, ma affatto abbattuta nonostante i tre interventi in un anno, l'ultimo dei quali l'8 febbraio. Tra commozione ed entusiasmo ha raccontato la Sua storia, come è nata in lei l'idea di creare un'associazione di donne per le donne, il perché del nome, che doveva necessariamente essere un nome femminile. Uno qualunque sarebbe andato bene, ma certamente "Agata" si presta meglio degli altri per più di un motivo.
Sant'Agata di Catania morì martire per non tradire il Suo credo, e fra le tante torture patì quella terribile dell'amputazione dei seni mediante tenaglie. Per questo in tempi recenti è diventata la protettrice delle donne colpite dal carcinoma mammario.
Ma Agata è pure il nome di una pietra dura dalle molteplici striature e benefici. Indossare un monile con l'agata, si dice... era garanzia di protezione per tutto il tempo.
Questa la presentazione di un'altra realtà la cui presenza è per Noi donne in particolare, ma anche per Chi ci è accanto motivo di gran conforto che annulla qualsiasi senso di vuoto. Perché una diagnosi di tumore non colpisce solo la persona, ma interi nuclei familiari e a volte pure ambienti lavorativi. Sarà per questo che stasera non c'erano solo donne, ma uomini e giovani di entrambi i sessi, a testimonianza che il problema è molto sentito forse perché pure assai diffuso.
Già... negli ultimi anni in Puglia l'incidenza di ammalarsi si è alzata, ma contemporaneamente sono aumentate pure le possibilità di guarigione, addirittura si parla del 93%. Un successo. Quindi se su 8 donne 1 si ammala, è pur vero che solo 1 su 33 non sopravvive. Detta così, è un po' difficile da comprendere... c'è da riflettere, comunque è reale che di tumore al seno si vive sempre più.
E non finisce qui... perché c'è ancora da conoscere, sapere per vivere con minor dolore qualcosa che non si è scelto ma ugualmente va affrontato con consapevolezza.
(continua...)

lunedì 27 febbraio 2017

MASCHERE


Ultimi giorni di carnevale, le maschere impazzano. Feste e travestimenti per nascondere identità almeno per un giorno, forse solo per qualche ora. Non pensare a ciò che si è, dimenticarlo addirittura, farsi protagonista di un sogno. O di un'altra realtà. Per Chi non si accetta, o prende in giro la Sua "vita beata" fingendo di averne una misera e sfortunata.
Quante sfaccettature per una maschera pure incolore che non vuole trasmettere gioia né dolore, solo per poco o tanto far apparire ciò che non è.
Carnevale passa, e le maschere di varia fattura vengono riposte, scordate, dimenticate per sempre. Ce ne saranno altre diverse, l'anno che verrà.
Stentano a cadere invece quelle senza tempo a scadenza, si incontrano per strada e nella quotidianità, non te ne accorgi subito finché non mostrano strappi, segni di usurata stanchezza... ghigno diverso. Poi... ma davvero dopo tanto... si allentano i lacci forse per uno scossone, un colpo di vento contrario e finalmente la maschera cade. Mostrando il vero volto, quello che non avresti mai pensato.
Si affanna il soggetto per recuperarla, la rabbercia come può, ma per quanto fa sempre più danno arreca, persino a se stesso. E tragica si emargina, diventa superata. Commedie non recita più.
Altra è quella che intende coprire il dolore che è dentro, la sofferenza o la paura. Vuole proteggere per difendersi, essere più forte per combattere. E sorride quando ha voglia di piangere, e nasconde le lacrime dietro uno sguardo languido che pare commosso ed invece è perso nel vuoto di un futuro che non sa.
Ricordo che quando fui a metà del mio percorso, ero così allenata a "mascherarmi" che riuscivo persino ad ingannare me stessa. Un sorriso diverso per ogni momento della giornata, se ero da sola o in compagnia, per gli incontri veloci e le conversazioni, addirittura nei silenzi perché ci fosse comunque l'espressione di un'anima che vive.
Ecco... la mia maschera di allora doveva nascondere la paura dell'animo che sentiva scivolare via la vita. E riuscì a farlo bene, tanto da convincerne anche i pensieri. Che furono sorridenti sempre.

domenica 26 febbraio 2017

IL MESSAGGIO DEL GIORNO


Giornata introspettiva. Totalmente. Me la riservo al sabato, dopo un'intera settimana di grande impegno, anche crescente. A volte mi chiedo pure se sono davvero all'altezza di ciò che mi picco di fare, o almeno se ce la farò fino in fondo. Poi mi fermo, in tutti i sensi... con le domande che non possono avere risposta, e con il resto. Cerco di pensare ad altro, alla Vita nel suo insieme, al mio senso di gratitudine perché ci sono ancora dentro, e fatalmente torno a quello da cui forzatamente e solo per un po' mi sono discosta. E' inevitabile.
Oggi è iniziata così con due messaggi di grande forza e speranza, uno scritto ed un altro vocale.
Il primo... la vita è troppo bella, merita della sofferenza. Il secondo pronunciato lentamente con una voce da bambina. Un suono dolce con note di ringraziamento. Pareva un arpeggio.
Per entrambi mi sono venuti i brividi, ho avuto la netta percezione di essere meno di nulla, al massimo un puntino nero in mezzo ad un vastità candida. Mi si noterebbe forse perché guasto proprio quell'insieme, ciò che interrompe una visione certa destabilizza sempre... chissà...
Tanto impegno, molti complimenti... e il tutto è in realtà proporzionato a quella che veramente sono?
Vengo fuori... dicevo... da una settimana "forte". Mi sono sentita più volte impotente, inadeguata... giorni in cui non si sa se sorridere è appropriato e avere gli occhi lucidi non solo è inappropriato ma pure dannoso e non solo esagerato. Confusione, quindi e poi desiderio di chiudersi a riccio. Briefing in cui Mente e Cuore chiamano a raccolta tutte le unità sinergiche per poter continuare. Perché io voglio continuare, anche quando tutto rema contro o il vento prima favorevole diventa contrario, addirittura ostile.
Sentimenti in burrasca, difficile reggere il timone, poi...
All'improvviso un raggio di sole, un messaggio subliminale che cambia la visione di un orizzonte fino a poco prima nebuloso. E manco a farlo apposta è da quel "punto nero", come mi ero percepita.
Spesso ci fermiamo a considerare ogni negatività della vita, valutarla in modo tale da perderci tutto il resto... la normalità che rappresenta la vita al positivo. Piccole cose, gioie, buone azioni, successi nell'ambito del possibile. Storie di varia umanità.
Ecco, io ero ferma a sentirmi un punto nero, e non pensavo più al "chiarore" che con la mia ritrovata normalità porto intorno. Devo darmi una "regolata", di quelle giuste. Essere me stessa, così come va. Niente se, né ma... senza troppe domande.

CINEMA INSIEME... E TANTO ALTRO



Stasera la prima delle tre proiezioni in programma nell'ambito di un progetto innovativo condotto da giovani membri del FAI, la cui missione è principalmente quella di esaltare e preservare le bellezze italiane.
L'idea alla base dell'iniziativa è quella di promuovere la conoscenza del territorio facendo leva sullo spirito di appartenenza alle proprie radici culturali.
A Parcocittà, nel cuore di Parco San Felice a Foggia, in una piccola sia pur spartana ma essenziale sala di proiezione, dove comunque ha trovato posto anche un "angolo buffet" per degustazioni di prodotti locali, abbiamo preso visione della prima pellicola... "A.A.A. ACHILLE", diretto da Giovanni Albanese e con Sergio Rubini, girato esclusivamente a Foggia e per qualche scena in un paio di località del Gargano.
La trama del film è molto semplice. Achille è un bambino che rivela improvvisamente una balbuzie, probabilmente dovuta alla non elaborazione del lutto per la morte del padre. Lo zio, medico e figura di riferimento della famiglia, lo porta a Villa Agorà, una clinica diretta dal dottor Aglieri, gran "imbonitore" che sostiene di aver inventato un metodo infallibile, una terapia efficace. Il canto parlato. Accanto a questa figura che poco ispira, spicca al contrario il personaggio di Remo, ex balbuziente, promosso a logopedista dalla grande inventiva. All'ultimo piano della villa ha infatti la Sua stanza che egli chiama "camera creativa", dove ricicla oggetti usati e rottami per farne giocattoli strani per grandi e piccini. Un'oasi di pace in cui la mente ritrova l'autenticità originale, senza sofferenza per un passato traumatico e doloroso né inutile ansia per un futuro che non è dato conoscere.
E sarà quindi la "tecnica" fantasiosa e piena di gioia creata da Remo, ad aiutare il piccolo Achille a venir fuori dal forte dolore per la perdita del padre, e quindi dalla balbuzie.
Molti spunti di riflessione, tanta tenerezza e qualche nota comica caratterizzano questo film, dimostrando che tematiche difficili possono essere trattate in profondità pure con qualche accenno di leggerezza, senza per questo penalizzare l'importanza dell'argomento.
Che cosa ho portato a casa come piccolo "bagaglio" personale? Una frase...
Il problema, qualsiasi problema è solo nella mente. E la soluzione sta nell'innamorarsi follemente di se stessi e non lasciarsi più.

venerdì 24 febbraio 2017

VIVERE NON SARA' UNA PASSEGGIATA MA...


Camminare può dare la vita, una seconda vita dopo aver superato un difficile percorso di malattia. Perché l'attività fisica, e in particolare camminare regolarmente e a passo veloce, è uno degli strumenti di prevenzione più efficace anche per contrastare l'eventualità delle recidive.
E' un dato di fatto, allora... il cancro si sconfigge non solo a tavola ma pure camminando.
Una sorta di slogan, questo in occasione della prima camminata non competitiva, che si è svolta a Foggia per la Giornata Mondiale contro il cancro.
L'’Associazione Runners Parco San Felice, con il Patrocinio del Comune di Foggia, ha organizzato la manifestazione dal titolo “Contro il Cancro, la prevenzione è per sempre”. Si è tenuta domenica 5 febbraio 2017 e ha visto la partecipazione di numerose associazioni che hanno voluto aderire all’evento perché certi dell’importanza dello stesso e del messaggio da trasmettere. Hanno partecipato all'iniziativa per manifestare concreta solidarietà ai malati di cancro e alle loro famiglie. Non si è mai soli in questi casi e l’adesione delle numerose associazioni ne è un chiaro segnale. La prima camminata contro il cancro, aperta a tutti, malati e non, grandi e piccini, è iniziata con il raduno in Piazza Pavoncelli alle ore 9.30, immediatamente popolata di voci, striscioni, bici e i tanti colori delle varie associazioni. Naturalmente non poteva mancare il GAMA, operativo agli Ospedali Riuniti e sempre accanto ai pazienti nelle varie fasi del percorso. E' stata un'autentica giornata di festa che ha visto strade animate e un aspetto nuovo, più umano della città. Progressivamente al corteo principale si aggregavano tanti piccoli gruppi, creando un lungo serpentone umano, gioioso e colorato che, dopo aver percorso il centro cittadino, si è spinto fino alla rotonda antistante il viale che porta alla struttura ospedaliera per onorare la presenza dei tanti medici presenti. Quindi si è diretto verso Parco San Felice, dove erano ad attendere altri gruppi appartenenti alle varie associazioni. Poi TUTTI INSIEME, seduti sugli spalti dell'anfiteatro per eseguire alcuni esercizi di rilassamento sotto la sapiente guida di una maestra dello "Yoga della risata". La mattinata di festa si è conclusa cantando in coro, "All'alba vincerò", e uno spuntino a base di pane integrale ed olio di oliva, gentilmente offerto dal panificio Frasca. Sul volto di ognuno infine un largo sorriso contagioso, come speciale e personalissimo "souvenir" da portare a casa.
Che dire? Organizzazione perfetta, grazie agli "Amici del Parco" e al loro presidente, dott. Piergiorgio Di Tullio, giovane oncologo. Camminare INSIEME è stata un'esperienza unica, da ripetere sicuramente per continuare a dire NO al cancro, e convincersi sempre più che TUTTI INSIEME si può vincere.




giovedì 23 febbraio 2017

VOGLIA DI LIMONCELLO


Giornata splendida, giusta per un ritorno in campo... un'uscita al mare. Ma non un luogo qualunque, il "Nostro mare", quello su cui si affaccia il promontorio del Gargano.
Siamo tornati dopo solo una settimana perché c'era rimasta la voglia di limoncello, di prepararlo da Noi coi limoni che in questo periodo abbondano nella zona, quindi dopo Vieste... Rodi, considerata la patria degli agrumi del Gargano, e dei limoni particolarmente profumati e poco aspri.
La strada che porta al paese è costeggiata da file di alberi che paiono decorati apposta, traboccanti di frutti d'oro, un piacere per la vista, oggi poi sotto un sole quasi primaverile mettevano anche tanta gioia. All'entrata del centro urbano, in prossimità della Chiesa dedicata alla Madonna della Libera, abbiamo trovato il solito furgoncino e in pratica abbiamo provveduto a svaligiarlo di quel tesoro. Il compito era assolto, ma non potevamo tralasciare il resto. Una visita al porto e una passeggiata al centro storico.
Non è la prima volta che andiamo a Rodi, ma come accade anche per tutti gli altri paesi della zona, non la si conosce mai abbastanza. Si alternano le stagioni e cambia la prospettiva, lo stesso sentire o predisposizione d'animo del visitatore.
Così al porto una passeggiata su un lungo viale solitario rende ebbri di silenzio e serenità. Guardare il mare insolitamente calmo per questa stagione e scintillante ai raggi del sole, invita ad un religioso tacere e a meditare sulla generosa bellezza del Creato.
Che dire poi degli animali incontrati per la via, sulla spiaggia, al mare? Due anatre festose nuotavano in circolo sulla superficie d'acqua in una piccola insenatura, gabbiani in volo solcavano il cielo azzurro terso, e più di un cane correva lungo l'arenile. Solitario scenario finalmente tutto per loro.
Su per il paese poi... le bianche case, alcune con i muri decorati trompe l'oeil, e gli alberi tanti, dai rami flessi sotto il peso delle arance. Quale meraviglia...!
Più volte oggi ho pensato a quanto spesso cerchiamo la serenità in chissà che cosa, mentre l'abbiamo a portata di mano, o meglio di vista o di odorato o di udito. Perché davvero in questa giornata mi sentivo completamente riconciliata e libera da conflitti interiori e non, leggera d'animo e fiduciosa, come se tutto non dovesse avere mai fine. Ché poi è questo il segreto per vivere bene il giorno per giorno... come fosse inizio e fine, e quindi si annullassero a vicenda.
In questa "piccola eternità" odierna ho camminato a lungo, ammirato l'azzurro del cielo, riempito i polmoni di profumi mediterranei, ascoltato infine la voce del mare e dei tanti gabbiani.
Voglia di limoncello e non solo. Gioia di vivere. Cose di "poveri mortali".

mercoledì 22 febbraio 2017

CANTANDO... SOTTO LA PIOGGIA



Stasera... una scoperta favolosa. Su segnalazione di un'Amica di quelle importanti, conosciuta proprio stamani, l'annuncio di un programma televisivo che parla di... NOI! KemioAmiche, ovvero Amiche di chemio.
Un reality, un po' musical con un tantino di fiction, e... tanta verità. Dove la condivisione è principale supporto o terapia complementare, quando uscire allo scoperto senza vergogna e parlarne fa bene a Chi vive la malattia e a coloro che sono accanto.
Da un gruppo WhatsApp un "cast" d'eccezione, sei donne accomunate da una malattia il cui solo pensiero un tempo avrebbe seriamente minacciato la mente, trovano al contrario in sé voglia e modalità per uscirne, puntando sui propri punti di forza.
Quella di stasera era la terza puntata della serie.
Ho sentito di parrucche, ho visto azzardare primi passi di tango ad occhi chiusi, sorridere e cantare pazienti ma pure medici ed infermieri. Una festa per la vita, insomma. Mi sono scese due lacrime, due sole ma erano di gioia. Gioia di esserci ancora e soprattutto di aver superato tutto quanto. Mi sembra quasi incredibile, e nello stesso tempo vivo la cosa come grande privilegio.
Concludo con un inizio, quello di una nota canzone di Gloria Gaynor... "I Will Survive".
All'inizio avevo paura, ero pietrificata...
Quello che prova ogni persona quando all'improvviso avverte il deserto intorno e dentro sé.

CHIEDO SCUSA



Ovvero... del Senso di Colpa. Quello importante che deriva da una situazione di fatto, seria e inconfutabile.
Nell' undicesimo incontro dell'anno è stato il tema centrale, introdotto quasi per caso dall'addolorato sfogo di un Amico tornato al gruppo dopo un'assenza di tre anni. In seguito alla perdita della moglie ha vissuto una sofferta elaborazione del lutto, durante la quale avrebbe voluto una maggiore vicinanza, aspettativa per vari motivi disattesa. Mentre si sfogava con amarezza, Tutti abbiamo provato un certo senso di disagio e pure di colpa. Avremmo potuto, dovuto fare di più? Avrebbe potuto, dovuto Lui stesso aprire la strada con una richiesta di aiuto?
Le domande potrebbero continuare, e molte resterebbero senza risposta poiché dipende dalla coscienza individuale. Ma il ritorno di quell'Amico è segno che comunque in parte ha compreso, elaborato e deciso quindi di concedersi e concedere una seconda opportunità. Dagli errori si impara e si cresce, il senso di colpa che altro non è che il giudizio morale dato a Noi stessi in quel contesto, si supera e si acquisisce nuova consapevolezza.
D'altra parte a Chi non è mai capitato di sentirsi in colpa? Talvolta a ragione, altre volte senza motivo, senza aver fatto nulla di male. Comunque il senso di colpa non sempre è ritenuto negativo, è un "sentimento" che porta necessariamente a pensare e aiuta implicitamente a mantenere le relazioni umane. Al contrario, "rabbia" e "depressione" sono emozioni, anche se la seconda si prolunga nel tempo.
E' stato chiesto allora Chi avesse mai provato il disagio per una colpa. Ovviamente le risposte sono state quasi tutte relative alla "malattia". La colpa di "dare fastidio" ai figli da parte soprattutto delle mamme, che più dei padri sentono l'onere e l'onore di essere "accudenti" a vita. La sensazione di una figlia e anche di un marito, convinti di non aver fatto abbastanza per i propri cari, probabilmente non considerando i limiti comuni ad ogni essere umano, presi quasi da una sorta di "narcisismo inconsapevole" che ha portato a sopravvalutarsi. Quando invece di certo hanno operato giorno per giorno, volta per volta secondo "il meglio del momento", e che altro non potevano fare, visto che... e questa è mia convinzione personale... tutto va come deve e ad un certo punto davvero non può essere diversamente.
La soluzione per risollevarsi dal senso di colpa, elaborare ed uscire dal cerchio vizioso venuto a crearsi, è chiedere a se stessi... se qualcuno si confidasse con me in tal senso, come mi comporterei e che cosa potrei dirgli per aiutarlo o almeno confortarlo?
Che sicuramente ha fatto tutto quello che poteva, che altro non avrebbe potuto perché Lui/Lei stesso condizionato dal legame affettivo, dalla paura, ansia e timore di sbagliare. E se questa è la molto probabile risposta, perché solo valida per gli Altri e non per se stessi? Forse che "sentirsi orrendi dentro" fa sentire meglio psicologicamente? Chissà...
Per me lascia un problema irrisolto, ne crea altri ed impedisce di andare oltre. Continuare a vivere seguendo la "corrente degli eventi", ovvero la vita stessa.

LA MOTIVAZIONE PER UNO SCOPO DIVERSO


Si dice sempre più spesso tanto da sembrare ormai scontato se non obsoleto... niente avviene per caso. Io ne sono convinta, altri la reputano frase fatta, tanto per, quando non si ha niente da dire e nemmeno pensare per dare o darsi conforto.
Eppure un disegno deve esserci perché una tal cosa vada in un certo modo invece che un altro, ed anche che cambi "corso" inaspettatamente, smentendo i presupposti. Già... deviazione improvvisa, "sgarro" del destino, distratto o capriccioso.
Un ruscello scorre tranquillo e regolare, ma improvvisamente può non essere più così.
Bastano alcuni ciottoli posti a caso sul fondo e il suo corso, turbato diventa veloce, quasi a voler raggiungere prima la meta.
E pure un mare in tempesta si placa all'improvviso se solo i venti, non più avversi diventano persino favorevoli.
Perché c'è una motivazione sempre che porta allo scopo diverso. All'improvviso.
Qualche giorno fa ero in reparto quando sono venuta a sapere che una paziente era stata operata il giorno prima. Una paziente davvero speciale, azzardo... unica. Ha una fede così grande che in questa avventura va spedita come un treno. Mai vista giù di morale, ancor meno in lacrime... nessun effetto collaterale per la terapia. Adora i fiocchi di tenerezza che sceglie sempre con fiduciosa perspicacia, e c'azzecca sempre. Se li trova "cuciti addosso" su misura, perché ci crede. Perché crede forse come pochi.
E' proprio per me... esclama ogni volta, e commossa per la gioia ripone il bigliettino con cura.
Gliel'ho portato anche stavolta, perché sono andata a trovarla in chirurgia. Acciaccata ma affatto abbattuta, nonostante le difficoltà motorie si è mostrata sorridente e spiritosa come sempre.
Meh, sai come ho intenzione di farmi aggiustare? "Alla Belen", non ho la stessa età ma non importa, ci voglio provare. Tanto sono convinta che ci pensa tutto Lei, la Madonnina mia. Mi avevano dato tre mesi, ma non c'ho mai creduto, perché mi ero affidata alla Madre santa, e infatti sono ancora qua...
Ha scelto poi il bigliettino dal nastrino giallo e lo ha letto... "Stupore per quanto Dio compie. Grandi cose ha fatto per me l'Onnipotente..."
Non ha aggiunto parola, ha sorriso ed intanto gli occhi le si erano fatti lucidi. Nulla di nuovo, era solo un'ulteriore conferma.
Ah, dimenticavo. All'inizio, due anni fa era stata giudicata non operabile.

domenica 19 febbraio 2017

UNA SPIEGAZIONE C'E' SEMPRE


Sono riflessiva di mio, e fondamentalmente ottimista verso il prossimo, così che in situazioni dubbie o strane non mi fermo mai a ciò che appare, cerco la "spiegazione nascosta", la chiave di lettura giusta. Credo inoltre che ogni reazione sia la risposta ad un'azione, magari si perde nel tempo, ma comunque esistente. Contesto, carattere e temperamento solo in parte sono responsabili, tutto il resto dipende da un' "energia casuale", un vortice che prende e converte al centro. Un'inequivocabile spirale.
Quel giorno di un paio di mesi fa, davvero mi sembrò esagerato il Suo comportamento, aprire una polemica interminabile a causa di un presunto sopruso, con un'altra persona infilatasi velocemente nel vano medicazioni.
C'ero prima io, non c'eri Tu... ci sono io, non ci sei Tu.
Io non ne sapevo niente, e se Tu non rispondi... che vuoi da me?
E il tempo di rispondere me lo vuoi dare, si o no?
E intanto si alterava facendosi paonazzo, mentre la moglie, paziente oncologica in attesa di terapia, cercava di calmarlo, inutilmente. Mi ero avvicinata offrendogli una caramella, la rifiutò con queste testuali parole... ehhh, qua ci vuole altro, ben altro che caramelle.
A parte che le caramelle non le passa l'ospedale, e quindi non possono costituire un trampolino per improperi contro la struttura... gli dicevo... non sarebbe stato meglio addolcirsi l'amaro in bocca nell'attesa? Prima o poi il Suo turno sarebbe arrivato...
Eh già, intanto quello è passato avanti!
Finii col rinunciare a calmarlo, nelle volte appresso mi limitai a guardarlo da lontano, a constatare e valutare il grado di nervosismo e arrabbiatura, sempre presenti almeno in forma lieve.
Ieri poi, sono uscita dalla stanza dove ripongo le mie cose, e me lo sono trovato davanti...
Ciao, come va...?
Angela (Sua moglie) è di là, nella stanza in fondo.
Va bene, ma ti chiedevo... Tu come stai?
Bene, insomma... tiriamo. Secondo la giornata.
E mentre parlava, si guardava intorno... poi serrava le labbra, indispettito.
Il dottore ha detto che finché è tutto bloccato possiamo stare tranquilli. E Noi ci sforziamo di esserlo, sperando che pure lui (il tumore) non ci passi avanti.
Uhhh... ho pensato... ma " 'sto passare avanti" è proprio un'ossessione. Poi ho capito il perché. E così ha ripreso, senza che gli chiedessi niente.
E' che c'ho 'na rabbia dentro per tutto quello che ho passato, quando t'ammazzano un figlio di 26 anni, poliziotto, in un conflitto a fuoco, e poi durante il funerale perdi improvvisamente pure la moglie, che devi pensare? Qualcuno per forza ce la tiene con te... o no?
Da quelle poche frasi... ho dedotto che Angela era quindi la seconda moglie, per giunta malata, che temeva di perdere. Non solo, e questo poi me lo ha aggiunto Lui... anche per sposarla quanto aveva lottato con gli altri figli e il resto della famiglia...
E perché...?
Non te lo sto manco a dire quanta sofferenza, tutto perché...
E ha fatto una pausa. E in quel momento è arrivata un'altra persona, un'altra Amica che aveva da dire qualcosa. Sono stata chiamata, ed era una storia diversa ma comunque anello di congiunzione di un'unica e sola, sempre la stessa che lascia il segno. Orme incancellabili.

sabato 18 febbraio 2017

IL BONSAI


Ovvero... il mio bonsai. Quello che mi giunse inaspettato il giorno del mio 60° compleanno, quasi quattro anni fa. Arrivò tramite Interflora, dono di mia figlia lontana. Mi sorprese la figlia, ancor più il significato del dono. Un bonsai, nell'insieme... come miniatura di un albero grande, possente, concentra vitalità e fermezza. Ha piccole radici che prendono tutto lo spazio, e profonde non muoiono né fanno morire.
Era un messaggio per me. Piccolo essere, estremamente vulnerabile, battuto da vento di tempesta, avevo resistito, e avrei continuato se solo avessi avuto cura di me. Cura del piccolo olmo cinese.
Dicevo... quasi quattro anni sono trascorsi da quel giorno, e il bonsai è ancora qui. Ha girato i vari angoli della casa, è stato all'interno... su davanzali, al sole diretto e all'ombra... e all'esterno... sulla veranda ampia, vicino alla ringhiera, nell'angolo più riparato. Ha visto ingiallire le foglie e poi cadere, e spoglio e scheletrito sembrava morire. Tutto questo più volte.
Io lo guardavo e m'intristivo. Tanto. Era il regalo di mia figlia, l'augurio più bello... doveva durare, se non per sempre almeno per un tempo ragionevole e giusto.
Così presi coraggio e cesoie, e cominciai a tagliare i rami più lunghi con poche foglie alle estremità, anche se erano le uniche verdi. Poi mi posi da lontano e lo guardai. Pareva esalasse l'ultimo respiro. Gli cambiai collocazione. Nell'angolo del balcone più piccolo di casa, su una colonna di marmo, davanti alla finestra del bagno. Ogni mattino uno dei rami mi dava il buongiorno con le ultime foglie ingiallite. Mi sono accontentata, mi sono imposta che bastasse. Meglio poco che niente.
Questo a stagioni alterne... un po' spoglio e poi verde e rigoglioso, e ancora secco e dopo con le gemme.
Perché si tratta di aspettare, avere pazienza. La Vita premia e le gemme, pure se si fanno attendere, prima o poi arrivano. Sempre.

UNA GIORNATA "TIPO"


Da quando si concluse il mio percorso terapeutico ed ebbe inizio questo che vivo, di continua crescita emotiva, e miglioramento in generale, per come si è articolato quasi da solo e si svolge ora con me e tramite le persone che incontro, io ho sempre sostenuto di fare "infusioni per l'anima". Di curarmi non ho quindi mai smesso, ed ogni volta che, finito il turno, torno a casa non esagero nel dire che provo le medesime sensazioni di quando facevo la chemio.
Un leggero intontimento, bisogno estremo di silenzio per elaborare l'esperienza del giorno. Raccogliere le energie per trasformare il tutto in benessere dopo aver scartato ciò che fa male. Tanto male.
Ci sono giorni in cui si va a gonfie vele, altri che non avresti mai voluto vivere, spettatore impotente ed inerme. Quando da solo elabori pure che avresti potuto fare qualcosa che poi non hai fatto, oppure hai commesso un errore grossolano e chissà quale dolore hai procurato.
E' così difficile procedere al meglio su un margine tanto esiguo... eppure ci provi e poi ritenti, speri di potercela fare sempre... cadi e ti rialzi. E poi alzi lo sguardo al Cielo, e chiedi aiuto, e imponi a Te stesso mai più domande.
Stamattina, classica "giornata tipo"... un anziano Amico stanco ma non troppo malandato, considerate situazione ed età, una paziente che per l'ennesima volta mi ha fatto sudare sette camicie per convincerla ad uscire dal guscio dell'abulia, la giovane ragazza che è tornata a fare chemio dopo la gravidanza. La faceva già con il pancione, non aveva mandato indietro la vita... serena era allora, ancora di più oggi che l'ho vista. Due occhi luminosi che parevano frammenti di cielo con minuscole stelle. Mi ha mostrato con orgoglio la foto della Sua bimba, solo due settimane al mondo, quello donatole dalla mamma.
Sono tornata a casa pensando alla stanchezza di quell'Amico, risollevata comunque ogni volta da una caramella e un sorriso... alla promessa strappata alla testarda ma tenera paziente... a quella giovane mamma che ha fatto vincere la Vita.
Stasera un po' stanca mi sento anch'io, ma ho già scartato il superfluo doloroso. E mi sono preparata ad una serata diversa. La prosecuzione di un amore dichiarato, conclamato, definito. Il mio inno alla Vita.

giovedì 16 febbraio 2017

SULLA VIA DEGLI ARANCI


Stanchi, stanchissimi dopo aver fatto le ore piccole la notte scorsa per la cena di San Valentino, ma per nulla rinunciatari. Oggi, mercoledì la giornata era bella, soleggiata e promettente, e Noi dovevamo mantener fede a ciò che ci siamo promessi per quest'ultimo quarto di vita insieme. Una giornata "fuori". Fuori città, dai Nostri "canoni" soliti... fuori dai pensieri, i Suoi e i miei.
Già... apro e chiudo brevemente una parentesi che vuole essere pure "punto" di congiunzione o di passaggio tra ciò che è stato detto ieri, giorno dedicato all' "amor sereno" senza tempeste significative, tutto sommato fertile e fruttuoso, rispettoso di pensieri ed emozioni, e il "tema" di stasera.
Escludiamo in modo assoluto ogni forma di violenza, e consideriamo invece le tempeste poco significative, il "tutto sommato" e il rispetto. Non è che tutto ciò viene regalato oppure offerto su un piatto d'argento. Anzi. E' solo che all'inizio fai un investimento... puoi accorgerti che non rende quel che pensavi... ti impegni "titolandoti" come meglio puoi. Qualcosa perderai strada facendo, altro acquisterai con l'intelligenza e l'amore per Te stesso. Esistono, è vero, i fallimenti ma se si tenesse conto solo di questi, nessuno più investirebbe.
Stop, alla parentesi e ritorniamo sulla via.
La via degli aranci. Diretti a Vieste, la perla del Gargano.
Già sulla strada più pause per degli scatti mozzafiato. Lussureggiante vegetazione e vista incantevole sul mare. L'Architello di San Felice, i faraglioni e tanto luccichio sull'acqua.
C'era come al solito vento, ma disturbava poco perché il sole invitava a crogiolarsi come lucertole.
Arrivati in centro e posteggiata l'auto, ci siamo inoltrati verso la spiaggia di Pizzomunno, con la famosa roccia a forma di stele, bianca con un ciuffo di rada vegetazione sulla cima. Sembra costruita apposta, così solitaria, ed invece è opera della natura, come lo è tutto il resto, qui in mezzo al mare, tra grotte e scogli, anfratti e cale. Impossibile non credere ai miracoli. E il colore dell'acqua? Oggi era paragonabile allo sguardo di una donna dagli occhi cangianti. Incantevole.
Su per scalini diseguali ed erte salite, poi giù verso la spiaggia, e ancora dai belvedere... uno spettacolo unico che spiega il perché dell'appellativo, "perla".
Non è mancata la sosta in Cattedrale per un pensiero ed una preghiera, e quella sulla terrazza che affaccia sui trabucchi, poi verso sera la visita al porto con le prime luci.
Il vento rinforzava facendo la voce grossa. Per farsi perdonare quindi, coglieva strada facendo il profumo degli aranci e lo donava.

AMORE TRASFORMISTA


Parliamone così alla leggera, senza retorica e con un po' d'ironia, perché l'Amore vero è quello che non resta fermo in un tempo... per dire, all'innamoramento... ma va avanti, si adegua alla bisogna. Alle difficoltà che la vita comporta, agli acciacchi e affanni, alle malattie... al Tempo che avanza e non torna indietro. E' scoprire una nuova passione, aggiungendo qualcosa di nuovo e diverso, magari una "sillaba" in più che la precede, e la passione diventerà "com-passione"... soffrire insieme. O anche una semplice preposizione, e sarà così di nuovo "con passione", non travolgente, a moderati sensi e con infinita tenerezza e sintonia. Io sono per Te, e Tu per me... e non servono parole.
L'Amore vero, e non è retorica, è quello che dura, di cui non ti vergogni mai, anche se, per logica altrui, dovresti. Un sentimento da non "proclamare", non ce n'è bisogno se si vive come naturale.
Forse ripetiamo di continuo che respiriamo, dormiamo, camminiamo? Certo che no! Allora perché si dovrebbe dire... sai, IO AMO. E' bello dirlo a se stesso e così aumenta l'autostima, è bello scambiarselo come un dono prezioso, perché spesso le parole costano di più.
Che bella coppia... si vede... un Amore d'altri tempi!
Che cosa vuol dire? L'Amore non ha Tempo, un unico modello per ogni età e se ben portato non è mai obsoleto. Sbaglio? Non direi... e non è un caso che modelli "rispettosi della tradizione" difficilmente vadano a finire tra "quelli superati che non si vedono più".
L'Amore... ci credo veramente... può essere eterno, se si vive come il ciclo delle stagioni. E si rinnova come la Natura che a questo è legata.
Sono più dolci i frutti dell'Autunno, nati dalle turgide gemme in Primavera, maturati al sole appassionato dell'Estate.
Non si temerà il gelo dell'inverno, quando tutto sarà coperto dalla coltre bianca, aspettando la nuova Primavera.
L' Amore della mia Vita ed io stiamo assaporando appunto quei dolci frutti d'autunno. Insieme anche quando siamo separati, così diversi ma sempre rispettosi. Mai torneremmo indietro, o addirittura all'inizio della Nostra "storia a due", perché ora viviamo la vita come mai abbiamo fatto. Con curiosità e divertimento.

martedì 14 febbraio 2017

TORNANDO INDIETRO...


E trattando sempre di Vita e nuovi equilibri, mi va di tornare indietro a qualche tempo fa, quando d'istinto replicai ad alcune espressioni non per polemica bensì per amor di completezza.
Perché questo salto a ritroso? Sicuramente se fossimo più attenti a ciò che succede o viene detto intorno, Tutti ci ritroveremmo a farlo più spesso, come risposta a stimoli emotivi e conseguente opportunità di crescita.
E' da qualche settimana che in testa martella un'espressione che qualcuno mi ha condiviso, facendomene dono. Una persona che ammiro e stimo per una serenità di fondo e forza d'animo incredibile, nonostante tutto.
Tempo passerà, e tu raggiungerai un "nuovo equilibrio"...
Pensando a questa frase soprattutto e poi al resto, ho scritto i pensieri dell'altra sera. Ma non sono bastati, qualcosa mancava. Poi si è aggiunta la canzone di Fiorella Mannoia, e... allora non c'è stato scampo. Che la Vita davvero sia benedetta!
Così complicata, a volte contraddittoria, angosciante... ma pure gioiosa per un semplice sorriso o complimento, un'alba e un tramonto, il cielo e il mare... oh, insomma tutto quanto generosamente c'appartiene e riguarda.
E così allora, tornando a rileggere gli scritti di ogni sera da sette anni in poi, il mio sguardo attento si è fermato ad una pagina "antica" di tre anni, che sembra "nata" ora... proprio stasera...
La Vita ha un senso solo nell'ottica di relazione con l'Altro, Chi è vicino o capita sullo stesso percorso.
La Vita è quindi "parola" intesa come insieme di parole nel tentativo di comprendere e farsi capire, a volte fruttuoso a volte vano.
La Vita è "accettazione", "serena disponibilità"... "passi indietro" per ricominciare con un "balzo in avanti" nella consapevolezza di un ritorno certo se tanto si è dato. E questo per un elementare principio fisico.
La Vita è realtà e sogno... speranza ed illusione, da vivere giustamente e in modo equilibrato, "felicemente uniti" nell'emozione, duri essa un attimo o l'esistenza intera.
La Vita è malattia e dolore... rinascita e gioia da cui e per cui giunge Amore, nuovo e diverso, non più circoscritto e limitato entro rigidi e banali paletti, che ha pudore ma non conosce vergogna perché finalmente sa e può mettersi a nudo.
La Vita è restare "fedeli a se stessi" e non tradirsi per compiacenza, in quanto l'Altro sarà proprio per questo che continuerà ad apprezzarti.
La Vita è tutto ciò e tanto altro, personalizzata da Chi la vive ed è felice di esserci.
La Vita è uguale per Tutti nel suo culmine, la Morte a cui ognuno arriva in modo diverso, ma soprattutto con l'impegno di non avere rimpianto alcuno.
La Vita, infine è "Tormento ed Estasi"... come qualcuno scrisse... il Tormento che si dà e torna indietro, l'Estasi che annulla e fa dimenticare il primo nel riportare la pace in se stessi e con Altri da sé.
Ecco... è tutto qua. Ed io, rileggendo mi sono sentita ricca di una "nota" in più, come non l'avessi mai letta prima, e ancor meno scritta io.

nb... La Vita è una scalata, ma la vista è grandiosa. (cit.)

lunedì 13 febbraio 2017

UN NUOVO EQUILIBRIO


Spero di non sbagliare, credo sia l'apparato endocrino deputato a reagire allo stress, in particolare quello emotivo, questo almeno nell'immediato dal punto di vista fisico. E poi c'è la Mente, per mantenere stabile l'equilibrio, il che non vuol dire solo evitare lo "sfascio" psicologico, ma pure farsi forte per continuare come sempre sia pure in modo diverso.
Una vita nuova che si affianca e procede parallela all'altra, o prosegue sulla falsa riga della precedente.
Per me fu naturale ad un certo punto della nota vicenda farmi delle domande, dare le risposte e di conseguenza cercare i mezzi per le strategie da mettere in atto.
Sostengo e condivido pure con forza, sperando si segua il mio esempio, che la Scrittura mi ha salvato la vita. E ci credo talmente tanto da continuare fino allo sfinimento. Naturalmente, esagero perché sfinita non mi sento mai... scrivo e mi rigenero, e rigenerata continuo a scrivere.
Sette anni fa concepii un'idea, poi coltivata diventò un pensiero fisso, finché un giorno... ad un mese dall'intervento e poco prima della ripresa con la chemio, diedi vita al blog, la mia creatura. Non l'ho mai abbandonato, neanche quando in ospedale ci sono tornata per il secondo intervento, è stato il mio "diario di viaggio verso la rinascita". Il mezzo, la strategia per raggiungere un nuovo equilibrio, quello che tocca a Tutti dopo un'esperienza estrema o di dolore.
Ognuno sa o scopre alla fine come fare.
Stamani, come ogni domenica, ho sentito al telefono il marito della mia Amica storica che non c'è più...
Sto preparando qualcosa da mangiare. 'Sti due giorni ho avuto un gran da fare, la lavatrice, la spesa, mettere a posto un po' la casa, però prima di tutto questo non ho tralasciato di andare al cimitero. Ci vado tutti i giorni, sennò mi pare di fare...'na cosa...
Pausa più lunga.
... mi pare di fare 'na cosa malamente. Siamo stati per cinquant'anni insieme, sempre insieme... se non ci vado ora mi sentirei troppo "da solo".
Già, l'Amico mio l'ha detto, lo fa per se stesso, per colmare il vuoto fisico che prova, certo non perché teme di mancare di rispetto a Sua moglie o rattristarla. Lo sa bene che Lei ora è davvero... oltre. Ovunque sia, oltre ogni possibile credenza. E per Lui comunque la vita continua, "piena" sia pure "diversa".

domenica 12 febbraio 2017

TUTTO DI UN FIATO


Ho già detto, mi pare, che ieri è stata una giornata assai particolare. Intensa emotivamente a causa di coincidenze col momento, la celebrazione della giornata mondiale del Malato.
E' sembrato quasi mi si volesse fare un promemoria tramite un "excursus" doloroso di percorso, che se pure non uguale per Tutti, presenta delle tappe obbligate. Non voglio annoiare, e per questo non mi ripeterò. Sarà facile immaginare.
Così dalla piccola chiesa e poi su in reparto, dove ero di turno, e ancora più su in un altro a far visita ad una delle Amiche più care, tanto giovane che potrebbe essere mia figlia. E questo già la dice lunga, perché mi predispone con maggiore accudimento.
Cerco sempre di mantenere un lucido distacco, non farmi coinvolgere del tutto, perché non sarei poi di aiuto e non potrei fare quel che faccio. Ciò non toglie che certe volte si mettono insieme tanti di quegli accadimenti che un piccolo cedimento non può non esserci. E' minimo, ritenuto in tempo ma proprio perché non elaborato, persistente dentro come sofferto rimpianto. O rimorso per averlo abortito.
Salivo per quelle scale a capo basso, pensando alle parole dell'omelia ascoltata poco prima. Ero molto assorta...
Indifferenza che a lungo andare porta alla diffidenza. Aprire il Cuore, immergersi nel dolore, accogliere e nello stesso tempo sentirsi impotenti di fronte alla sofferenza innocente. Donare il tempo che ci è stato donato, perché nulla veramente ci appartiene ed è solo un "prestito" da investire...
Contenuti forti, pure non semplici da comprendere ed accettare. Pensavo a tutto questo.
Mancavano ormai un paio di scale al piano, quando ho notato due paia di gambe ferme di lato per consentirmi di arrivare e fermarmi. Istintivamente ho alzato lo sguardo. Una donna ed una ragazza giovane, le conoscevo entrambe. Negli occhi della prima, il luccichio di lacrime trattenute a stento.
Ti stavamo cercando... era la giovane a parlare. Ma ormai avevo capito e le parole erano inutili, ho sentito solo quella solita stretta alle tempie che mi prende per un dolore all'improvviso. Poi spilli negli occhi, però non potevo, non potevo...
E l'ho smessa là, cancellando il ricordo di un cruciverba dalle caselle sempre vuote, sciogliendomi in un abbraccio.
Conflitto di strane emozioni, seguito da un insolito silenzio dentro.
Un silenzio che preoccupa e fa sentire in bilico. Quasi tutto stesse per finire.

sabato 11 febbraio 2017

PREGHIAMO CON I MALATI... PER I MALATI



Per me è stata una "giornata forte" per molti motivi. Aver partecipato alla celebrazione religiosa nella piccola chiesa dell'ospedale in occasione della XXV giornata mondiale del Malato, è stranamente coinciso con altri fatti, incontri, considerazioni. Tante emozioni contrastanti, nella piccola chiesa e poi su e giù per le scale a respirare la "vita vera", quella che annulla inezie e falsità e di contro pone in risalto l'essenza umana e la "sofferenza innocente".
Come sempre siamo stati onorati dalla presenza del Nostro Arcivescovo, persona semplice e affabile, che al solito ha lasciato il segno con le Sue parole.
"Ho avuto la vocazione di fare il prete, non quella di vescovo. Forse non lo so fare, e mi commuovo spesso. Ma piangere non è farsi torto, non bisogna vergognarsi. Tutto ciò che appartiene all'uomo è santo perché dono di Dio, anche le lacrime lo sono. E tutto sommato esprimono una richiesta di aiuto a Chi ci ama, per essere sollevati dalla sofferenza, alle persone che sono accanto e, più di Tutti, a Dio..."
Il Vescovo, prima di scendere in Chiesa, passando dal reparto di rianimazione aveva notato tre bambini, e ne era rimasto profondamente colpito, e poi in pediatria aveva incontrato una bimba di colore coi suoi genitori che a modo loro pregavano per la guarigione della piccola. Una preghiera che era pure inno di lode... alleluia. Come non commuoversi...?
Poi è stato con l'omelia che è arrivato ai cuori.
Il Vangelo era quello di Marco, la guarigione del sordomuto.
Il sordomuto è condotto a Gesù da altri e sono questi a pregare per lui. E già può dirsi sanato, perché è in quell'incontro col Signore che inizia la salvezza.
Quanto è importante che ognuno di noi si faccia carico dei bisogni altrui e diventi la mano che conduce e asciuga il pianto, e la voce che implora.
Gesù non opera miracoli-spettacolo, per questo prende il sordomuto da parte, lontano dalla folla, e realizza la difficile mediazione fra la discrezione e l’offerta di un aiuto efficace. Lui agisce con "delicatezza", modella con la sapiente "manualità del vasaio", come tornasse a creare.
E dice: «Effatà», cioè «Àpriti». Una parola, che è segno per la guarigione fisica, ma, ancora di più, operazione di grazia. Come il gesto leggero di toccare gli orecchi con un po’ di saliva è simbolicamente visto come mezzo di unione tra "corporeità" e spirito.
Il sordomuto guarito dal Cristo sente le sue dita di carne toccargli le orecchie e la lingua. Ma quando la sua lingua si scioglie e le sue orecchie si aprono, attraverso quelle dita accessibili ai suoi sensi, egli raggiunge la divinità inaccessibile.
E' la pienezza di una relazione, vissuta con grande rispetto, senza compatimento. Questo ci ricorda che ogni malato è e rimane sempre un essere umano, e come tale va trattato. Gli infermi hanno la loro inalienabile dignità e la loro missione nella vita e non diventano mai dei meri oggetti, anche se a volte possono sembrare solo passivi, ma in realtà non è mai così.
Effatà...aprirsi non solo con l'udito e la parola, ma soprattutto con il Cuore. Ascolto e preghiera sono fondamentali come modalità di aiuto all'Altro, ma non bastano. Non è la preghiera formale a fare la differenza. E' lo sporcarsi le mani, immergendosi nel dolore... questo è aprire il Cuore
Pure trasformare la propria fragilità in sostegno per gli altri, grazie all’amore diventa capacità di arricchire se stessi e il prossimo.
Credere in "qualcosa", affidarsi a "qualcuno"... fiduciosamente "accogliersi" in se stessi.
L'aver fatto silenzio nell'animo alla ricerca di reconditi significati nonché risorse insperate, porta ad una grande crescita intellettuale e spirituale e ben presto tutto ciò che era bastato e persino avanzato... non soddisfa più.
Si cerca sempre e altrove, e poi come me... si può tentare l'azzardo... diventare "guaritore ferito".
In altri termini, persona informata dei fatti che si forma ancora strada facendo, quella stessa che fu la sua e poi ripercorre "tenendo per mano" . Magari provando già su questa terra la gioia del Paradiso.

venerdì 10 febbraio 2017

QUEL CHE CI AIUTA E'...


Parlare, parlarne, parlarci.
Non è una variazione del modo infinito del verbo parlare, non è di grammatica o vezzo letterario che intendo prendere a tema per i pensieri prima di andare, è unicamente il "centro di interesse" di una conversazione pomeridiana, tra me e la mia Amica che ha girato mezzo mondo, che mi saluta ogni volta con un "hallo, how do you do?", e in più ha vissuto la mia stessa avventura.
Ogni tanto ci vediamo, vado a trovarla e coi ricordi comuni arriviamo sempre a considerazioni profonde dalla parvenza di saggezza spicciola. Siamo due "lungo sopravviventi", almeno fino a questo momento, e ce lo possiamo permettere.
Che cosa c'ha salvato, non dico la vita, ma la salute mentale? Parlare.
Perché non ci siamo isolate, da subito abbiamo cercato negli occhi di Chi ci stava di fronte, l'appiglio solidale, gli spunti e lo stimolo per continuare. Che fosse persona sana o meno non importava, si trattava di entrare in sintonia, ed era fatta. Si prendeva a restare a galla.
Poi... parlarne. Dire della Nostra malattia a Tutti, senza vergogna perché di certo non l'avevamo voluta, comprata, rubata. E senza timore di apparire "fuori di testa" parlarne anche bene, non vedendo solo il nero della situazione ma anche i mezzi toni che aggiustano la vista dell'insieme.
E alla fine... parlarci. Anche col solo sguardo quando rabbia, dolore e sconforto mozzavano il fiato o troncavano le parole, e sempre con ironia se le giornate erano quelle giuste, rivolte a tempo sereno o poco variabile.
La mia Amica, Donata la conobbi così, tremendamente inc....ta il giorno che doveva cominciare una nuova terapia. Io ero alla seconda rossa, e nel salutare mi augurò, buona fortuna con un tono che era tutto un programma. Il senso lo compresi solo dopo. E fu un bene, una sorta di "iniziazione" alla vita.
Anche stasera ha fatto una battuta delle sue... beh, ci vediamo tra un paio d'anni.
Esagerata... le ho risposto, e Lei ha replicato... così almeno altri due anni campiamo.
E poi mi ha dato il "pensierino" portato da Londra, dove è stata a Natale. Il Big Ben.
Piccolo, in miniatura ma funzionante davvero. Con una luce, perché non ci si dimentichi.

FUMO E PROFUMO DELLA LEGNA CHE ARDE



Passato il gelo, e qualche scossone pure, sono ripresi i Nostri Mercoledì.
In verità, mi sono lasciata trascinare, così che avviandomi ero poco convinta. Sentivo tanta stanchezza sulle spalle e un po' di ansia per qualche nuvola nel mio cielo, che poi sarebbe il cielo di tutta la famiglia, ma chissà com'è, greve e minaccioso è sempre e solo per me.
Perché ci stai troppo a pensare... dice qualcuno, e forse è vero, però che posso farci se a volte mi sento al pari di un foglio di carta velina? Sottile, quasi trasparente ma tanto facile a stropicciarsi o diventare carta straccia.
A parte queste considerazioni che fanno ben comprendere lo stato d'animo ad inizio giornata, comunque siamo partiti. Tempo variabile con cielo plumbeo a tratti e strana luminosità ad ogni curva. Poi un rettilineo che pareva non finire. Mi sono appisolata. Un fondo strada piuttosto scabroso mi ha svegliato in modo brusco, ma ormai eravamo giunti alla meta... Gambatesa, un paese in provincia di Campobasso.
Apparso sull'altura come dal nulla, sembrava riportare ad un millennio fa. Tipicamente medievale nell'aspetto da lontano, ancora di più all'interno, passeggiando per i vicoli stretti e solitari, nell'assoluto silenzio, dove unica fisicità era il fumo che veniva fuori dai comignoli delle case e il profumo della legna che arde. Solo questo faceva intendere che c'erano anime vive.
C'è da dire pure che Noi abbiamo una predilezione nonché capacità di scelta per luoghi del genere, dove poter ritrovarci da soli con Noi stessi. In due, ma ognuno con sé. In questo almeno sono riuscita a coinvolgere del tutto Chi mi sta vicino. Mentre Lui mi "travolge" con la Sua passione per i castelli medievali. Anche a Gambatesa ne abbiamo trovato uno, sicuramente il più bello fino ad ora.
Varie sale intercomunicanti dai nomi affascinanti... Sala delle virtù, del canneto, delle maschere, ed altre ancora, e tutte dalle pareti decorate con affreschi ben visibili. Davvero uno spettacolo.
Una rapida visita quindi, e poi di nuovo per vicoli e scale, lungo i belvedere caratterizzati da croci viarie.
In piazza, una statua dell'Immacolata Concezione che pare guardare in ogni direzione, e poi un particolare curioso, anzi proprio strano. In mezzo ad un ampio prato un vero carrarmato. Probabilmente un relitto di guerra, ma perché tenuto così e in un posto dove non si azzuffano nemmeno cani e gatti?
Un controsenso, anzi un paradosso che alla fine esalta la quiete del luogo.

mercoledì 8 febbraio 2017

SE FOSSI UN OGGETTO... (in modalità... stand by serena)


Per quel che mi riguarda, avendo facoltà di scelta, preferirei essere un oggetto di uso comune, sempre a portata di mano, capace di risolvere il problema capitato all'improvviso.
Vorrei essere un ombrello da borsetta, piccolo e grande quando serve. Non importa il colore, anche se giallo è preferibile per rallegrare le giornate buie, ciò che conta però è che faccia il suo dovere, resista e non si perda di strada.
Mi piace lavorare di fantasia quando i pensieri scorrono veloci per difetto di serenità, mi creo un angolo mio dove mi apparto, senza che nessuno se ne accorga. Un modo tranquillo per esserci e continuare. Sono qui e altrove, sono adesso e poi... chissà. E intanto avanzo staccata dal "cruccio" ma non dalla realtà.
E mi rendo conto di aver preferito l'ombrello perché ripara, una sorta di piccolo rifugio sicuro che protegge persino dagli occhi indiscreti.
Ognuno può fare la Sua scelta, e sarà sempre per vivere al meglio anche una parentesi aperta, che non si sa se e quando si chiuderà.
Lei stamane riprendeva con la chemio... in dieci anni tre tumori diversi ad intervalli regolari, Sue testuali parole. Ma abbattuta, depressa o similari... mai. L'ho trovata che mangiava una fetta di pizza, e mi ha salutato con la solita, esuberante cordialità.
E' da un po' che non ci vediamo...
Si, naturale perché nel frattempo ho fatto un altro intervento. Linfonodi sospetti, e poi confermati "bastardi" perfetti. E va be', ci teniamo pure questi. Solo che non pensavo di dover ricominciare proprio adesso, questa settimana. Mah, me la rovino completamente...
Perché...? le ho chiesto incuriosita, pensavo ad una festa di famiglia. Una ricorrenza, magari un invito ad un matrimonio.
Macché... ha risposto divertita... stasera comincia Sanremo e me lo volevo "godere". Comunque, il pensiero che ci sta, già mi aiuta. Può darsi che me la passo come niente fosse.
E così dicendo, si è accomodata giusta nella poltrona. Un sospiro, un sorriso e un ultimo morso al resto della pizza.

martedì 7 febbraio 2017

SU UNA SEDIA VUOTA


Metti il caso Tu potessi impersonificare la malattia, la Tua sofferenza...
Un'espressione per sintetizzare il contenuto dell'incontro di stasera.
Non proprio un inizio ma la continuazione di un discorso concluso teoricamente, ma da completare con la pratica. Esercizio di respirazione e rilassamento per tentare di prendere le distanze dal proprio dolore.
Qualche tempo fa ci fu spiegata con estrema chiarezza la tecnica o metodo ACT, applicato al sostegno psicologico nella relazione di cura.
L'Accettazione di quel che è, qui e ora. Ovvero uscire dalla Mente ed entrare nella propria vita.
Accettare non significa essere rassegnati, passivi né tollerare o sopportare, bensì abbandonare tutti i tentativi di soluzione inutile e accogliere ciò che la vita comporta se riconosciamo che stiamo andando nella direzione di ciò che vogliamo dalla nostra esistenza.
Nonostante quel che succede, non dipende da Noi e inevitabile perché al di fuori di Noi.
Perché accettazione sia, è necessario staccarsi dal problema, riconoscendone le peculiarità che saranno diverse da quelle del soggetto che lo vive, differenti del tutto o in parte.
Ed ecco l'esercizio a Noi proposto.
A luci soffuse, cercando di mettere da parte ogni preoccupazione, rilassare i muscoli degli arti, e prendere a respirare lentamente, concentrandosi sul flusso di aria inspirato profondamente e poi espirato lentamente.
Poniamo che al centro della stanza ci fosse una sedia vuota, ciascuno impersonifichi il problema, in questo caso specifico, la malattia.
Sarà un uomo o una donna? Coi capelli biondi o bruni? Alto/a... basso/a... subdolo/a, cattivo/a...
Potrebbe pure non avere fisicità, oppure essere solo un arto mutilato, una parte del proprio corpo. O anche una situazione, un abbandono, un lutto.
Così rilassati, ad un certo punto quali reazioni emotive, emozioni emergeranno? Sarà rabbia, senso di colpa, depressione? Ma soprattutto questo tentativo funzionerà per Tutti, porterà un esito o scatenerà qualcosa di ingestibile?
Al termine dell'esercizio il confronto fra Noi è stato interessante, vario e a tratti pure vivace. Tutti si erano sottoposti all'esercizio... pazienti, caregiver, uditori. Era giusto mettere sullo stesso piano le reazioni motivate da diverso tipo di sofferenza? Qualcuno sosteneva il contrario, e nell'ottica da paziente che vive sulla propria pelle la malattia poteva essere giusto, però qui non si proponeva alcuna soluzione , piuttosto un suggerimento per alleggerire un percorso di allontanamento dalla sofferenza.
Pochi sono riusciti a dare personificazione a ciò che turbava, solo un'Amica ha attribuito alla Sua malattia aspetto e vesti della strega di Biancaneve, sperando per sé un lieto fine come nella favola.
Personalmente, su quella sedia ho visto un'ombra. Me ne sono staccata, è vero... ma delusa per non poter guardarla negli occhi. Così sfuggente e pur minacciosa nella sua leggerezza, mi ha lasciata spossata fisicamente. Per una lotta impari o delusione di me stessa?

SETTE ANNI DOPO... (ad un Convegno a parlare di me e non solo per me)

 

Un Convegno organizzato e tenuto in una cittadina di provincia, e già questa è una grande novità. Promotori un medico di famiglia, e due Associazioni... L'Albero della Vita e il GAMA... oltre naturalmente il Comune citato.
Titolo... "L'assistenza oncologica a domicilio: un diritto del cittadino" - Per una nuova cultura della vita.
Una vita intesa come dono prezioso, da amare e curare in ogni sua fase e momento pure di criticità. Che ha il diritto di essere libera dal dolore, non protagonista della scena ma relegato ad un breve ruolo di comparsa. Sintomo che non diventi patologia.
Se fino a vent'anni fa era accezione comune l'idea, pure legata ad un errato aspetto di fede religiosa, che fossimo nati per soffrire, oggi si promuove a gran voce lo "sdoganamento" di tale concetto. Da qui... la nuova cultura della vita.
Dopo i saluti delle autorità, le testimonianze dai momenti toccanti di Chi ha vissuto la malattia. Dallo shock della diagnosi al percorso terapeutico, fino all'inizio del follow up. Quanto abbia inciso nella loro storia un supporto nelle fasi più dure e difficili, quali le difficoltà incontrate per assicurarsi l'assistenza migliore. Sappiamo purtroppo che da Nord a Sud c'è differenza in campo sanitario, tanto che persino la legge 38, datata 15 marzo 2010, riguardante il diritto a non soffrire, mentre è già operativa in alcune regioni settentrionali, arranca appena nelle meridionali.
Questione di costi, di fondi? Anche, ma non va trascurata l' "ignoranza" di alcuni medici di famiglia, ignoranza intesa come non sapere, non essere sufficientemente informati sulle normative, i farmaci e relative posologie. Si fa, ad esempio, confusione tra cannabis ed oppiacei... come dire che aglio e cipolla sono la stessa cosa. Cosa necessita allora? Maggiore preparazione, corsi formativi per i medici con più anzianità di servizio, caduta drastica di ogni pregiudizio su morfina ed affini, riconoscendone la stretta parentela con le stesse endorfine prodotte dall'organismo umano. E se pur vero è che danno assuefazione, lo è altrettanto che ci si può disabituare gradualmente nel momento che cessi il bisogno. Cade il tabù degli oppiacei, considerando anche gli innumerevoli danni arrecati dagli antinfiammatori assunti per lungo tempo e in casi non appropriati.
Di cancro si muore sempre meno, ma purtroppo ci si ammala sempre più. Le cause sono molteplici e non tutte note. Alimentazione, scorretto stile di vita, inquinamento, stress... certa è pure la predisposizione genetica. Quando la malattia si presenta c'è il coinvolgimento totale di intere famiglie. Si deve cercare il modo di affrontarla al meglio, facendone un percorso parallelo a quello della normale quotidianità. A tale scopo, accanto ai professionisti nel campo, fondamentale è il ruolo di operatori di supporto, quali psicologi, volontari, e associazioni. Quest'ultime in particolare, costituendosi in una "rete", provvederanno alla salvaguardia dei diritti del paziente oncologico, tramite l'informazione e la costante vicinanza. Così come è stato presentato in tale occasione dai presidenti delle due associazioni.
Il Convegno si è svolto tra l'interesse generale dei presenti, vivacizzato da interventi stimolanti, e con la spiegazione chiara e dettagliata dei temi. Contenuti "non molto piacevoli" ma sdrammatizzati dalla semplificazione delle problematiche inerenti.

domenica 5 febbraio 2017

SETTE ANNI DOPO... (ad un Convegno a parlare di me e non solo per me)


Ci penso solo ora, in questo preciso istante. Dopo una giornata di forte intensità emotiva. Sette anni fa, il 4 febbraio dov'ero, che cosa facevo? Di sicuro non sapevo che si celebrasse il "World Cancer Day", e anche se l'avessi saputo avrei evitato di pensarci. Erano i giorni del grande dubbio, dell'ansia incessante, dell'indecisione... prima che accettassi la "nuova condizione".
E oggi, a sette anni di distanza dove sono stata? Ad un convegno a parlare della mia esperienza oncologica, con emozione... e come non si potrebbe... ma pure con il mio solito entusiasmo che non vuole banalizzare ma coinvolgere per sfatare un falso mito. Ed in questo campo i falsi miti sono davvero tanti, ed occorre forza e volontà e determinazione non di uno solo con l'aggiunta di qualche altro, ma di file intere. Insieme è meglio, è lo slogan del GAMA... ma siamo in grado di capirne davvero il senso? Crediamo nella validità della "rete" di varie associazioni per la risoluzione delle problematiche e la salvaguardia dei diritti del paziente oncologico? Paziente che non si capisce il perché, pare considerato un "malato diverso", da trattare coi guanti ma non col significato che di solito si accredita a questa espressione. Negli interventi che si sono susseguiti si è cercato di portare alla luce tutta la realtà di una condizione legata ancora ad un retaggio atavico.
Il tema merita da parte mia una relazione più vasta ed approfondita, e i pensieri di stasera faranno solo da introduzione. Dirò forse una cosa scontata, soprattutto per coloro che come me ci sono passati. Non Tutti possono capire, occorre un udito speciale per saper ascoltare, cogliere tra i singhiozzi richieste celate di aiuto, accogliere i muti silenzi colmi di gratitudine. Non Tutti sono in grado, e con una punta di saccenteria però verificata da certe constatazioni, dico... nemmeno da qualcuno che ha vissuto una vicenda del genere. Serve sensibilità, grande saggezza nell'andare oltre la malattia, guardare nel profondo di Chi si ha di fronte.
A nessuno è stato dato un proprio orto da coltivare, ma curare un unico e solo terreno, quello comune.
Diffidiamo quindi di Chi annuisce senza espressione, fa domande per curiosità, insulse e vuote, oppure per sdrammatizzare banalizza usando le famose frasi fatte. Significa che il suo interesse all' "argomento" è nullo.
" Ho imparato che puoi parlare con estrema naturalezza solo a poche persone. Che non tutti capirebbero ciò che vuoi dire loro, non per mancanza di perspicacia ma per un semplice e reale disinteresse. Ho imparato che molti faranno finta di ascoltarti limitandosi a cenni con la testa accompagnati da sguardi persi nel vuoto. E allora, solo allora, capirai quanto è importante scegliere con parsimonia quelle rare persone a cui aprire il proprio cuore"
- Limerence -
(continua...)

SARA' PER SOMME LINEE E SEGUENDO IL CUORE


Non è sempre facile iniziare a parlare di sé, soprattutto quando si toccano corde così dolorose. Io l'ho fatto spesso e continuo, in un certo senso sono sempre in esercizio, però ogni volta mi emoziona.
Sono trascorsi sette anni ormai dalla diagnosi, e la mia storia sono in molti a conoscerla. Se vogliamo riassumerla per sommi capi... carcinoma mammario infiltrante con adenopatia omolaterale, ormono responsivo. Ometto volutamente le varie sigle, che in questa sede e dopo tanto tempo lasciano il tempo che trovano, sottolineo però il variare delle emozioni legato alla logica instabilità emotiva, causata dallo shock iniziale. Mi ripresi però subito, decisa e determinata a cavarmela comunque almeno salvando faccia e dignità.
Questo potrebbe sembrare un espediente letterario, un discorso preparato a tavolino, in realtà... diciamo, alla mia malattia ero arrivata "preparata". Parecchi anni prima mio marito ed io c'eravamo trovati ad affrontare e vivere le malattie di entrambi i suoi genitori, prima della mamma e poi del papà. Per motivi logistici e familiari fui io da sola nella quotidianità ad essere loro accanto.
Quindi prima ancora di essere paziente oncologica sono stata caregiver, anche tra molte difficoltà. Oggi si parla di rete di associazioni, assistenza domiciliare, solidarietà... allora bisognava organizzarsi da sé, dalle questioni pratiche al supporto psicologico "fai da te", che con un minimo di sensibilità, e una lucidità resistente ai vari colpi riservati dalla malattia, poteva pure funzionare. Doveva funzionare.
Noi con un po' di fortuna e tanta buona volontà ci organizzammo. La vicina di casa, infermiera dell'Asl, provvedeva nelle emergenze e per i prelievi, tramite conoscenze trovammo un medico chirurgo per le medicazioni importanti, infine un infermiere per il turno notturno, quest'ultimo ad un costo molto elevato. Alla preparazione dei pasti, faccende e compagnia provvedevo personalmente. Con loro c'ero io e i Nostri figli, bambini e poi adolescenti.
Di quel periodo ho un chiaro ricordo. All'inizio ero spaventata da un'impresa per cui non mi sentivo all'altezza, poi... sarà stato per una sorta di istinto di sopravvivenza... presi a chiedermi, se fossi stata io ad essere l'ammalata... che cosa avrei voluto vedere, o meglio notare, ascoltare... pensare?
E arrivarono spontanee le risposte. Avrei voluto vedere volti sorridenti, notare la serenità che sollevasse dall'ansia, ascoltare discorsi normali che non riguardassero sempre la malattia. Pensare a domani, quello immediato, il giorno dopo insomma. Piccoli progetti disegnati dalla speranza di farcela.
E così ce la facemmo, un piccolo team per superare un momento di grande difficoltà.
Quando in seguito toccò a me, ricordai tutto ciò, e prendendo le distanze dalla malattia, decisi di prendermi cura di me come fossi un'altra da me. E funzionò. E se sono qui a raccontarlo in tale modo, direi pure... bene, alla grande.

venerdì 3 febbraio 2017

FRASI FATTE



Non me la sono presa per niente, perché un po' sono abituata alle opinioni più varie espresse in maniera sarcastica, ironica, a volte pungente, ma pure perché un fondo di verità c'era.
Frasi fatte, già... certo che lo sono. Sono mie, scelte tra le tante ma con oculatezza o "pensate" in tema e coerenza. Fatte, quindi... è vero. Frasi fatte da me.
Da quella volta che mi aveva contrastato solo con lo sguardo, quando avevo offerto a Sua moglie un fiocco dei tanti, avevo cercato di stare alla larga dall'argomento, Speranza in pillole. Continuavo ad incontrare entrambi ma solo per un sorriso ed un rapido saluto, poi subito via perché lo sguardo non sostasse troppo sul mio cestino ricco di ben di Dio, provocando fastidio ed irritazione. Poi l'altro giorno, Lui per un po' non c'è stato, e la moglie ha invitato ad avvicinarmi...
Hai pure le noci...? Datti da fare, allora. Schiacciamene qualcuna.
Inutile dire, io felicissima mi sono armata di schiaccianoci e ho cominciato. Un sorriso, qualche parola, l'accortezza di porre il gheriglio a pezzi non troppo piccoli separati dai frammenti di scorza. Volevo prolungare quel momento di cura così raro, visto i precedenti. Ad un certo punto ho avvertito una presenza alle spalle...
Bene, non manca proprio niente. Pure le solite frasi fatte...
Istintivamente mi sarei girata risentita, poi ho preferito l'opzione sicura... ironia per sdrammatizzare.
Frasi fatte, hai ragione. Le ho fatte io, qualcuno pure doveva esserci.
Frasi fatte frasi fatte. Tanto per dire. Che niente vogliono dire.
Pareva una filastrocca, di quelle falsamente allegre e in realtà profondamente tristi.
Dai... ha rotto il ghiaccio Lei, come al solito sorridente... ne voglio uno per me.
L'ho accontentata... Tienilo in Cuor Tuo, leggilo in silenzio, a Tuo marito magari potrebbe dar fastidio.
Ma no... ha ripreso, ed io ho continuato perché il ghiaccio rotto si sciogliesse...
Lo so, ho capito. Ci sono momenti assai particolari, quando la stanchezza è tanta e la sfiducia prende. Percorsi difficili sfiancano, e spesso le parole scivolano come gocce di pioggia che non ristorano, oppure... ed è anche peggio, feriscono come ripetute punture di spillo. Fanno male con la loro inutilità.
Lui ha annuito, poi è uscito dalla stanza. Lei ha letto il Suo biglietto, al solito sorridente.
Ora io mi ritrovo a pensarci su. Come poter dargli torto? Per me, Noi tutti appartenenti ad una realtà intesa indubbiamente per il bene, è normale. Però per Chi non vede spiragli...?
Concludo con le parole di quella moglie, nonostante tutto bella e solare...
All'inizio mi sentivo immobile quasi in attesa. Aspettavo che tutto finisse. Il tempo è trascorso, ed io tra alti e bassi sono ancora qui. Mi sono resa conto che questo è il mio tempo, non posso aspettare perché trascorre, e potrei perderlo. E' un treno in corsa che voglio vivere, e me lo prendo al volo.
Le Sue parole, messe insieme, vere frasi fatte... con il Cuore.

UN NOSTRO MERCOLEDI'... AL CINEMA



E anche questa settimana è andata così, niente uscita fuori porta. Gli ultimi giorni sono stati particolarmente faticosi per più motivi, e pure se l'intenzione c'era non ce l'abbiamo fatta, quindi a casa col solito da fare però al rallentatore. Va tutto bene comunque, nella giusta ottica e in previsione che vada meglio. Ma intanto per addolcire l'amarognolo di una delusione low cost, abbiamo deciso di concederci un paio d'ore al cinema. Una rapida scorsa alle programmazioni e l'indice si è fermato su un titolo che non poteva non essere allettante... Mister Felicità.
E se felicità prometteva, almeno allegria e serenità erano scontate. Gli interpreti erano già una quasi garanzia, con Alessandro Siani in primis come protagonista e alla regia, e poi a seguire gli altri tutti noti per una comicità garbata. E infatti l'aspettativa è stata in pieno rispettata. Almeno per Noi che abbiamo riso dall'inizio alla fine, non mancando pure qualche riflessione ogni tanto. Perché senza sapere e manco a farlo apposta, il tema centrale del film era la "positività". Pensiero e atteggiamento. Pane quotidiano per me, saggio e azzeccato consiglio per Chi mi sta accanto e qualche volta se lo scorda.
Dopo i titoli di inizio, questa frase di Confucio, una sorta di "fiocco di tenerezza" dedicato a Noi...
"La felicità più grande non sta nel non cadere mai, ma nel risollevarsi sempre dopo una caduta".
E poi altri ancora come... "Noi siamo quello che pensiamo", e "La felicità da soli dura poco, condivisa dura di più o almeno il doppio".
Tutto questo e non solo, anche spunti per psicoanalisi semplice e pratica. Condivisione di sofferenza e gioia, conquista o recupero dell'autostima. Una miniera di argomenti.
Per soddisfare la curiosità di Chi il film non l'ha visto, qualche cenno ora della trama...
Martino è un giovane napoletano indolente e disilluso, che vive in svizzera dalla sorella Caterina. Un imprevisto costringe all'immobilità la giovane sorella che ha bisogno di costose cure. A Martino non resta che lavorare al posto di Caterina come uomo delle pulizie presso il dottor Dott. Guglielmo Gioia, un mental coach specializzato nello spronare le persone attraverso il pensiero positivo e l'azione. Durante un'assenza del Dottor Gioia, Martino ne approfitta per fingersi il suo assistente. Uno dei suoi primi pazienti sarà la famosissima campionessa di pattinaggio Arianna Croft che, dopo una brutta caduta sul ghiaccio, ha perso completamente fiducia in se stessa e amore per il proprio sport. I campionati europei di pattinaggio, però, sono alle porte, ce la farà Martino, nell'insolito ruolo di Mister Felicità, tra equivoci e rivelazioni inaspettate, a far tornare Arianna la campionessa che era?
Bene, non solo riuscirà nell'intento ma conquisterà pure il cuore della ragazza.
Completo lieto fine quindi, per i protagonisti del film e per questo Nostro mercoledì. Cominciato così così e terminato semplicemente, con una focaccia casalinga fumante e una ritrovata serenità.