martedì 7 febbraio 2017

SU UNA SEDIA VUOTA


Metti il caso Tu potessi impersonificare la malattia, la Tua sofferenza...
Un'espressione per sintetizzare il contenuto dell'incontro di stasera.
Non proprio un inizio ma la continuazione di un discorso concluso teoricamente, ma da completare con la pratica. Esercizio di respirazione e rilassamento per tentare di prendere le distanze dal proprio dolore.
Qualche tempo fa ci fu spiegata con estrema chiarezza la tecnica o metodo ACT, applicato al sostegno psicologico nella relazione di cura.
L'Accettazione di quel che è, qui e ora. Ovvero uscire dalla Mente ed entrare nella propria vita.
Accettare non significa essere rassegnati, passivi né tollerare o sopportare, bensì abbandonare tutti i tentativi di soluzione inutile e accogliere ciò che la vita comporta se riconosciamo che stiamo andando nella direzione di ciò che vogliamo dalla nostra esistenza.
Nonostante quel che succede, non dipende da Noi e inevitabile perché al di fuori di Noi.
Perché accettazione sia, è necessario staccarsi dal problema, riconoscendone le peculiarità che saranno diverse da quelle del soggetto che lo vive, differenti del tutto o in parte.
Ed ecco l'esercizio a Noi proposto.
A luci soffuse, cercando di mettere da parte ogni preoccupazione, rilassare i muscoli degli arti, e prendere a respirare lentamente, concentrandosi sul flusso di aria inspirato profondamente e poi espirato lentamente.
Poniamo che al centro della stanza ci fosse una sedia vuota, ciascuno impersonifichi il problema, in questo caso specifico, la malattia.
Sarà un uomo o una donna? Coi capelli biondi o bruni? Alto/a... basso/a... subdolo/a, cattivo/a...
Potrebbe pure non avere fisicità, oppure essere solo un arto mutilato, una parte del proprio corpo. O anche una situazione, un abbandono, un lutto.
Così rilassati, ad un certo punto quali reazioni emotive, emozioni emergeranno? Sarà rabbia, senso di colpa, depressione? Ma soprattutto questo tentativo funzionerà per Tutti, porterà un esito o scatenerà qualcosa di ingestibile?
Al termine dell'esercizio il confronto fra Noi è stato interessante, vario e a tratti pure vivace. Tutti si erano sottoposti all'esercizio... pazienti, caregiver, uditori. Era giusto mettere sullo stesso piano le reazioni motivate da diverso tipo di sofferenza? Qualcuno sosteneva il contrario, e nell'ottica da paziente che vive sulla propria pelle la malattia poteva essere giusto, però qui non si proponeva alcuna soluzione , piuttosto un suggerimento per alleggerire un percorso di allontanamento dalla sofferenza.
Pochi sono riusciti a dare personificazione a ciò che turbava, solo un'Amica ha attribuito alla Sua malattia aspetto e vesti della strega di Biancaneve, sperando per sé un lieto fine come nella favola.
Personalmente, su quella sedia ho visto un'ombra. Me ne sono staccata, è vero... ma delusa per non poter guardarla negli occhi. Così sfuggente e pur minacciosa nella sua leggerezza, mi ha lasciata spossata fisicamente. Per una lotta impari o delusione di me stessa?

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