giovedì 31 marzo 2011

La volta precedente il dottor C. mi aveva già fatto un "riempimento" a sorpresa, credevo di aver terminato a metà settembre e invece al controllo di due mesi fa c'aveva aggiunto altri 60 cc: ero uscita dallo studio con la sensazione di avere un panino che sporgeva sotto il maglione. Ormai la quantità di soluzione fisiologica iniettata aveva superato la capacità dell'espansore stesso, 400 cc, questo per far sì che i tessuti si tendessero il più possibile. Il mio espansore... che tenerezza il giorno che vide la luce fuori dalla sua confezione e cominciò piano piano a vivere, a gonfiarsi, sgonfiarsi, indurirsi e persino palpitare sotto l'influsso dei mutamenti atmosferici, perchè, bisogna dirlo, è dotato di una grande sensibilità. Ero ancora nel dormiveglia dopo l'intervento che arrivò l'assistente del chirurgo per presentarmelo attraverso un"manuale d'istruzione" ed una specie di "carta d'identità" recante il mio nome con cui venivamo, almeno per il momento, legati indissolubilmente. E infatti lo sentivo sotto la pelle, la spingeva con forza, eppure, giusto per iniziare, c'erano solo 50 cc, ma era sempre un corpo estraneo che a volte dava anche prurito, specie in corrispondenza del capezzolo che non c'era più, e per questo scherzosamente io dicevo di soffrire della sindrome del capezzolo fantasma. Già qualche ora dopo la nostra "unione" vinsi una naturale ritrosia e mi passai la mano sul petto, a destra, e quasi sfiorandolo notai solo un leggero rigonfiamento, liscio sotto le dita a causa del cerotto di carta che lo ricopriva. Cercai di immaginarlo, poi ci rinunciai... appena accennato, senza il capezzolo... allo stato attuale ce ne voleva di fantasia per considerarlo un seno! Certo, lo sarebbe diventato col tempo... ma quando? Era allora che avevo bisogno di sentirmi integra, come se nulla fosse successo e niente fosse mutato. "Signora, questo è il manuale del suo espansore della capacità di 400." Cercando di tenere gli occhi spalancati per mostrare il massimo dell'attenzione, la interruppi quasi, "400? 400 litri?" "Beh, direi proprio di no! Neanche una mucca potrebbe avere una mammella capace di tanto." Mi resi conto dell'assurdità detta e sorrisi. " Mi scusi, sono sveglia ma ho ancora tanta confusione in testa... certo neanche una mucca."

mercoledì 30 marzo 2011

Un tempo le ore d'attesa prima di un esame o di una visita mi avrebbero innervosito oltremodo, oggi aspettare mi fiacca ma, devo dire, non torno mai a casa spazientita. Sarà perchè ottimizzo il tempo, non lo spreco a lamentarmi, a chiedere di continuo, "Chi è l'ultimo?", sperando che nessuno risponda per guadagnare un posto, a guardare l'orologio sotto la pressione d'impegni immaginari. Mi guardo intorno sempre con attenzione, faccio mie l'esperienze altrui, ricavandone grandi insegnamenti. Oggi sono stata dal chirurgo per il controllo dell'espansore e, giusto per restare in tema, grande attesa, ma ho rivisto dopo due mesi Rosa, bellissima col suo nuovo look da "sparruccata", capelli corti dalle punte sparate e grandi occhiali da sole, e questo mi è bastato per compensare quel po' di disagio. Con lei c'era anche Carmela ed è stata una sorta di rimpatriata, con un'allegria che faceva dimenticare ciò che ci accomunava; poi loro sono andate via ed io ho continuato ad aspettare... ero l'ultima! Però ho fatto una nuova conoscenza, Lea ed ho imparato quanto bene faccia bere thè verde giapponese (forse da qui in avanti non così tanto), dolcificarlo con miele grezzo d'acacia e spalmare sulle fette biscottate marmellata con pezzi interi di mirtillo senza zuccheri aggiunti, un toccasana per il nostro sistema immunitario messo a dura prova dalle terapie.
Da un'altra signora ho ascoltato una storia che se non fosse tragica farebbe almeno sorridere, e in effetti lei la raccontava ridendo. Aveva scoperto di avere un carcinoma al seno da una PET fatta come controllo dopo un carcinoma al naso... una sfortuna! Ma che fortuna averlo scoperto così, diciamo, casualmente. Vicende che sembrano inventate, trame, eppure sono storie di vita vissuta che lasciano un segno anche in chi l'ascolta.
Quando la sala d'attesa si è svuotata è arrivato il mio turno, finalmente. In piedi, come un soldato sull'attenti, il dottore mi ha squadrato; ha palpato quella che sarà una mammella, ha tirato un po' su l'altra, "Perfetto! Bel volume! Vi piace così grande?" Avrei voluto rispondere che veramente per me così è un po' troppo, ma ho detto solo, "Va bene una cosa qualsiasi!" "Che cosa?! Deve essere una vera mammella. La prossima volta gonfiamo un altro po'." Ancora??! "Sì, ci siamo quasi... A Pasqua, vediamoci a Pasqua, così ci faremo gli auguri e poi , poi decideremo..."

martedì 29 marzo 2011

Un anello può non fare la differenza ed in effetti non la fa, ma quando si crede fortemente in ciò che si è costruito e si porta avanti con altrettanta forza e convinzione, anche un simbolo può costituire un valore aggiunto. Questa era stata sempre pure l'opinione di mia madre che della famiglia ebbe la vocazione e che con quel cerchietto d'oro teneva strette le pagine della sua storia. Una volta, quando cominciò a peggiorare ci disse di voler essere sepolta con la fede al dito e alla mia "rimostranza", "Però, mamma, sono la primogenita, dopo di te vorrei conservarla io", avanzata per sdrammatizzare e allontanare la tensione creata dalle sue parole, aveva risposto senza esitare, "La vuoi tu? Sarà tua." Come tangibile passaggio di testimone, testamento spirituale dei valori in cui da sempre aveva creduto. E quanto dolore aveva provato quando l'aveva persa venti giorni prima di morire! Non aveva colpa, tuttavia pianse perchè non avrebbe potuto mantenere la promessa. Non ho "ereditato" il suo anello, ma tutto ciò in cui lei ha creduto, quello sì, l'ho fatto mio, patrimonio che investo ogni giorno nella mia quotidianità e non solo nell'ambito familiare, e che mi ritorna con gli interessi facendomi sentire sempre più ricca. E per questo vorrei poter seguire continuamente la voce del cuore, anche a costo di star male; vorrei non deludere nessuno e forse vengo meno alle aspettative di qualcuno esagerando con degli atteggiamenti involontari; m'impegno a far tutto da sola, ad uscir fuori dai miei momenti (mi è consentito?) bui, a risollevarmi, a non temere ciò che sarà, e probabilmente anche questa viene considerata una forzatura, una maschera per nascondere la vera natura dei miei sentimenti. Ma io ora sono così, una scoperta continua anche per me stessa, in tempo reale ho consapevolezza di ciò che provo che è diverso da ieri e anche da domani. La mia "avventura" mi ha insegnato soprattutto questo, a non dare niente per scontato, neanche me stessa.

lunedì 28 marzo 2011

Potevo aver dormito cinque minuti o una notte intera sarebbe stata la stessa cosa, e il ritorno alla coscienza fu un misto tra il sogno e la realtà con i suoni presenti in un lieve crescendo e le figure prima annebbiate e confuse, poi nitide se pur mosse. "Ma perchè mi spostate di nuovo?" "Dobbiamo andare in camera, non possiamo restare qui." "Allora... è tutto finito???" "Sì, l'intervento è finito." Provai un senso di sollievo misto a gioia: il "bozzo" non c'era più, richiusi gli occhi con la tranquillità di chi non ha più nulla da temere. Nel dormiveglia post operatorio sentivo lo scorrere della barella sul pavimento, la vetrata che si riapriva sul corridoio fino alla mia stanza, ogni tanto socchiudevo gli occhi e le sagome dei miei familiari mi apparivano come figure eteree. "Mamma, è andato tutto bene... Ma'... mi senti?" La voce di Valeria mi arrivava distintamente; dei sensi l'udito aveva ripreso in pieno, mentre stentavo ancora a vedere, non riuscivo a fare respiri profondi e nel mandar giù la saliva sentivo grattare la gola come se avessi ingoiato scorza di pane raffermo. Un insieme di sensazioni sgradevoli che culminavano con una forte pressione sul petto, istintivamente avrei voluto levarmi quel masso, portai la mano là dove sentivo maggior fastidio, trovai tutto piatto e rigido. No, non era stato un sogno." Mi dispiace, può entrare una persona sola." La voce dell'infermiere mi scosse. "Valeria. Mia figlia... fate entrare mia figlia." Avevo voluto lei perchè era parte di me, una sorta di prosecuzione di me stessa e poi perchè le avevo affidato un incarico ben preciso, una volta che fossi uscita dalla sala operatoria doveva subito coprirmi la testa con il cappellino e infilare al mio dito la fede nuziale. In testa il cappellino anche se sbilenco fu posto, il dito invece oppose un po' di resistenza all'anello. "Mamma hai il dito gonfio, proviamo dopo. " Assolutamente non se ne parlava. "Insisti, vedrai che s'infila." Ci misi tutta la forza del mio pensiero perchè ciò avvenisse, ci tenevo troppo a riprendere uno dei miei ruoli e guardare di nuovo la vera al dito significava sentirmi più viva che mai, sorretta dall'amore di chi era al mio fianco da tanto tempo.

sabato 26 marzo 2011

"Siete allergica a qualche farmaco in particolare?" La domanda dell'anestesista mi riportò alla realtà costringendomi a rispondere. "Sono allergica agli antinfiammatori." Sentivo la mia voce uscire flebile, mi feci coraggio e risposi di nuovo. "Certo, signora, ho capito." Poi ancora altre domande riguardo l'anamnesi nella fase preoperatoria; rispondevo meccanicamente come chi ad un esame si è preparato imparando tutto a memoria e così risponde senza quasi capire ciò che dice. Per tenermi ben ferma al tavolo e predispormi al monitoraggio occorreva fissare agli arti delle fasce, ma queste stentavano ad attaccarsi alla pelle. "Eh, la signora ha abbondato con la crema idratante stamattina!" La tensione non m'impedì di rispondere piccatamente, "Magari, se mi si veniva a prendere quando m'era stato detto forse la crema avrebbe fatto in tempo ad asciugarsi." "Meno male, la signora non ha perso lo spirito!" E meno male sì, perchè lo spirito aiuta a mantenere il sangue freddo e a dominare la paura, pensai tra me.
Dopo la solita ricerca della "vena perduta", mi fu attaccata la flebo dell'anestetico, non prima però che firmassi il consenso informato, l'accettazione volontaria da parte mia dell'intervento. Ora mi chiedo quanto in realtà valesse la mia volontà in quell'occasione così drammatica, avevo forse possibilità di scelta, o meglio se avessi rifiutato che chance di farcela avrei potuto avere?! Praticamente nessuna dal punto di vista umano, magari un miracolo... Era quindi un'unica e sola opzione, il consenso informato, allora, una semplice formalità.
"Quanti figli avete?" Ecco, ci siamo! Sapevo bene, avendo partorito con il cesareo, che quando si arrivava a questa domanda lo sprofondare nel sonno senza sogni dell'anestesia era praticamente immediato, ed infatti feci in tempo solo a pensare la risposta e poi non ricordo più nulla. Cerchi concentrici nelle sfumature del bianco e nero con tocchi vivaci di colore presero la mia vista fino a quando gli occhi mi si chiusero forzatamente.
Non ci si abitua mai, mi è stato detto, non ci si abitua mai a vedere qualcuno che prende l'altro percorso, e anche se non può essere diversamente si resta sgomenti e sorpresi come da una sconfitta. A nulla serve quella corazza che l'esperienza dà per proteggersi da certi sentimenti, perchè essa non respinge ma solo nasconde dolore e vulnerabilità. Eppure la vita continua... e come dopo una gran corsa, colto d'affanno ti fermi per prendere respiro, così resti a guardare chi si stacca dal gruppo perchè non può più seguirlo; te ne rammarichi ma poi riprendi la tua strada, magari con più calma, guardandolo da lontano. Quando si è a stretto contatto con questa malattia  si mette in conto e tutto fa parte del gioco; me ne accorsi quando si ammalarono di cancro i genitori di mio marito e ancor di più quando ad esserne colpita fui io: paura, dolore poi lucido distacco, necessario per continuare a... vivere. E non so per quale miracolo riuscii ad essere distaccata anche quella mattina, mentre venivo portata in sala operatoria. Pregavo, è vero, come mi aveva detto di fare Luigia, e c'era in me un abbandono che non era rassegnazione, bensì un voler mantenere la calma ad un livello costante per poter acquisire sempre più forza e determinazione. Mentre andavo, lungo il corridoio, il sorriso di Luigi, l'allievo infermiere, "In bocca al lupo, signora!" E la piccola Annarita che si chinò su di me per darmi un bacio. Quei due ragazzi, che conforto! Si aprì infine quella vetrata che introduceva negli ambienti operatori, e poi si richiuse dietro di me; davanti un altro corridoio forse non tanto lungo ma per me interminabile e intorno tutto di un unico colore, verde... verde i camici, verde le pareti, in un'atmosfera surreale che a causa dell'emozioni mi dava la percezione di essere protagonista di un sogno.

giovedì 24 marzo 2011

Questa volta non avevo dimenticato nulla del mio "curriculum" ma non mi è stato chiesto niente oltre l'impegnativa e la prenotazione; fa niente... sarà per la prossima volta, dato che in questa situazione le occasioni certo non mancano. Oggi ho fatto la radiografia toracica e, che dire?!? meglio ricorrere all'ironia per sdrammatizzare il tutto, l'ansia che prende ogni volta  e il tempo d'attesa , lungo da sfinimento; quasi tre ore a confronto di dieci minuti scarsi per "fotografare" i miei polmoni. Per fortuna tra i regali che mi ha fatto il tumore, il più grande in assoluto è stata la pazienza... non la perdo mai! Perchè ne ho carpito il segreto: quando devi aspettare non contare mai le persone che ti precedono, approfitta di quel tempo per progettare qualcosa di piacevole, anche semplice e banale come mangiare un gelato, sceglierne il gusto, assaporarlo in anteprima col pensiero. Stamattina, nell'attesa ho letto, ho pensato alla fortuna di poter stare almeno seduta, alla nuova macchina per il caffè da mettere presto in uso e poi... poi mi sono guardata intorno. Quando si fa questo in maniera serena s'impara tanto, ci si diverte persino e il tempo passa in fretta. C'è stato chi si è spazientito, ma davvero molto ed è diventato violento verbalmente, qualche parolaccia è anche volata, e subito qualcun altro ne ha approfittato per sobillare e ricevere beneficio senza esporsi direttamente. Un bimbo di pochi mesi ha cominciato a piangere, era l'ora della pappa e la sua mamma lo ha attaccato al seno accarezzandogli la testolina; mi sono emozionata nel guardarli, ho ricordato quei bei momenti di tanti anni fa, quando anch'io mi sentivo ricca di quella mia "autosufficienza" che mi consentiva di essere tutt'uno con il mio bambino: non ci serviva altro. Ora ciò che un tempo era stato per me motivo d'orgoglio è solo un ricordo;  diventato oggetto d'esame, non più amico anzi in parte ostile è stato sottoposto ad intervento mutilante, e a me resta guardare al "suo" futuro con curiosità. Mi ricostruirò, è vero, con vanità voglio pensarmi anche più bella, ma non sarà mai la stessa cosa. Avrei voluto invecchiare con il mio seno "vero", vederlo col tempo diventare naturalmente pendulo e ricordare la sensazione di dolce appagamento che mi donava quando continuavo a dar la vita.
Fu Grazia a rispondere e il condividere con lei il desiderio di un pensiero in un momento difficile mi fece subito stare meglio, fuori da quel senso di solitudine in cui spesso caccia la malattia.
La mia compagna di stanza era dalla sorella Daniela, ricoverata anche lei in quegli stessi giorni, (evidentemente le combinazioni familiari non sono poi tanto rare e mio padre ed io qualche mese prima non eravamo stati dopo tutto così originali) e pensai di andare in bagno e lavarmi con calma, mancavano quasi due ore... "Ma qui non c'è nessuno?" "Sì, io in bagno." Feci udire la mia voce e in fretta venni fuori per sentire chi delle due cercavano. Un omone alto e grosso mi si presentò davanti. "Sono venuto a prendere la paziente per l'intervento alla mammella." E mentre diceva così poneva la cartella clinica sotto il cuscino nel mio letto. "Ma forse c'è un errore; la paziente sono io ma mi è stato detto che l'intervento è per le dieci di questa mattina." "Io non so niente. Mi hanno detto di venire qui ora e sono venuto. Preparatevi, indossate questo camice e sdraiatevi nel letto." E adesso? Che cosa avrei fatto adesso? A casa non sapevano niente, ero sola, persino Luigia non era in camera. "Un momento... posso avvisare almeno la mia compagna di stanza?!... Vado a cercarla." Uscii nel corridoio, ma ero confusa e mi muovevo come se fossi in un posto completamente sconosciuto, un labirinto. Vidi venirmi incontro finalmente Luigia. "Devo andare in sala operatoria, ora. Tieni i miei due cellulari; se chiamano i miei familiari, spiega loro tutto." Le consegnai il mio cestino portatelefono e mi riavviai in camera. Dopo aver indossato il camice sterile, con la cuffietta verde che copriva pietosamente la mia spelacchiata testa, mi sdraiai nel letto un po' tremante mentre Luigia m'incoraggiava e mi dava una mano perchè ero agitata e non riuscivo a compiere i gesti più semplici. "Signora Maria, tranquilla... ricordate... invocate la Madonnina. Vi proteggerà... tranquilla." E queste poche e semplici parole mi accompagnarono fuori dalla stanza, lungo il corridoio, verso l'ingresso nella sala operatoria.

mercoledì 23 marzo 2011

Quella sera il dottor C. venne nella stanza per comunicarmi "ufficialmente" che sarei stata operata l'indomani, gli chiesi allora della durata e dell'ora d'inizio dell'intervento. Mi rispose con finta indifferenza, "Più o meno due ore e mezza. Ma perchè v'interessa quando cominciamo?" "Vogliono saperlo i miei familiari per essere qui  quando sarò portata in sala operatoria." "Ma lasciateli perdere! Non dite niente, così quando verranno all'ora delle visite vi troveranno già nella stanza." "Ma dottore..." così, vedendo la mia insistenza, "E va bene... facciamo le dieci ... più o meno." Riferii la cosa ai miei parenti che andarono subito in fibrillazione, avrebbero fatto di tutto per essere lì di buon ora, però prima c'era qualcosa da sistemare... ma sì... che andasse tutto alla malora! Erano in evidente stato di agitazione, forse avrei fatto bene a seguire il consiglio del dottore, ma ormai... A me intanto conveniva ricorrere al solito training autogeno o fare yoga mentale per mantenere integro il mio autocontrollo, e devo dire che ero riuscita nell'intento discretamente, poi il pregare con Luigia aveva completato, donando fiducia alla mente e serenità all'animo.
Mi svegliai, com'era logico, di buonora, recitai le mie preghiere, con più attenzione ed intensità, quale forma di dialogo e d'abbandono nelle braccia del Buon Padre, poi mi alzai, levai dall'anulare della sinistra la vera nuziale e dal collo la catenina col cuoricino che portava l'immagine serigrafata di mia madre e la medaglina della Madonna Miracolosa. Le indossavo sempre, non me ne separavo mai, ora dovevo farlo. Le riposi in un astuccio e poi nel cassetto del comodino: lo so, può sembrare esagerato, ma mi sentii nuda. Guardai l'orologio, erano quasi le otto e mezza, chissà se al Day Hospital avrei trovato già qualcuno, avrei voluto dire tutto... che tra un po' sarei stata in sala operatoria, mi sarebbe piaciuto che mi avessero pensato in quel momento e il saperlo mi avrebbe aiutato non poco. Presi così il telefono cellulare e digitai quel numero "amico".

lunedì 21 marzo 2011

Vivere tra le contraddizioni, ne siamo tutti consapevoli; ma è quando ti trovi in una situazione come la malattia che te ne rendi pienamente conto. Finchè tutto è tranquillo sbirci intorno e va bene anche così, non sei toccato, magari sei contraddizione tu stesso, poi un giorno si sposta un mattoncino delle costruzioni, della vita e ti accorgi che fino a quel momento sei andato avanti alla cieca. E cominci a muoverti con circospezione, piano... non puoi isolarti, saresti condannato, non sai a chi dar credito e di qualcuno devi pur fidarti, allora dici a te stesso, seguirò il mio istinto... e se anch'esso fallisce??! Finirai col contraddirti. Quanto è terribilmente difficile! La verità è una, ma le sue facce sono davvero tante, come quelle di un dodecaedro stellato, non si riesce a contarle tutte senza perdersi. E quando si parla di verità non si può non pensare a Pirandello che di essa diede per certa solo l'impenetrabilità, così ognuno resta della propria opinione e in questa convinzione si va avanti "tutti d'accordo", ma solo all'apparenza. Ma nella malattia che è assolutamente vera e reale, non si può andare un po' di qua, un po' di là; c'è bisogno di riferimenti precisi e di punti fermi, e purtroppo non sempre l'uomo, essere contraddittorio per natura, è in grado di garantirne. Resta, e non in ultima analisi, l'affidarsi a Chi rappresenta la verità assoluta e non può ingannare; in qualsiasi caso sarà quello che dovrà essere ma solo perchè sicuramente non potrebbe essere diverso.
Ho già fatto nota in altre occasioni di come il Signore abbia posto sempre sulla mia strada le persone giuste al momento giusto, Luigia, questo il nome della nuova compagna di stanza, rientra a giusto merito tra di loro, poichè tanto affine a me ci ritrovammo in immediata sintonia.
Al momento del ricovero avevo quindi indossato la mia tuta azzurra e avevo tenuto la parrucca; devo riconoscere che mi mancava il coraggio di farmi vedere "come chemio mi rese", sapevo che avrei dovuto levarmela di testa ma decidermi non era facile. Alla fine conclusi con me stessa... la toglierò prima di andare a letto, con il favore delle tenebre, in un attimo. Soddisfatta di questa proroga che mi ero concessa, andai a sedermi in corridoio davanti agli ascensori e intanto chiacchieravo con mio marito. Passò il dottor C. "Ma voi non siete ancora ricoverata?" Probabilmente era stato ingannato dal mio abbigliamento casual e dalla piega perfetta dei miei capelli. "Certo, da stamattina", gli risposi e lui, rivolto al medico che l'accompagnava, "Domani che c'è in programma oltre il linfonodo sentinella? Mettiamo anche lei nella lista." Domani? Di già? E' vero, glielo avevo chiesto io di farmela presto quella benedetta operazione perchè non ce la facevo più a tenermi dentro quel mostro, però non pensavo così presto. Venni presa da un panico immediato e mi sentii irrigidire, poi di botto subentrò una rilassatezza... Ma sì, è meglio, più presto si fa e meno si pensa... all'indomani, in quello stesso momento il peggio sarebbe stato già lasciato alle spalle. Ritornai in camera forse un po' troppo assorta. "Che avete, signora Maria?" Dissi a Luigia dell'operazione fissata per il giorno dopo, dei miei timori, della volontà di archiviare il tumore vero e proprio e di andare avanti determinata a farcela, perchè lo volevo, di questo ero sicura. " Vogliamo pregare insieme perchè la Madonnina domani vi assista e vi faccia affrontare l'intervento senza paure? Andrà tutto bene, vedrete." Pregammo a lungo, noi due sole in quella stanza d'ospedale, con parole semplici, senza retorica e con tutto il cuore. Mi sentii serena pur con gli occhi lucidi. Poi indossai la mia camicia da notte rosa antico, mi guardai allo specchio del bagno: i due seni, ancora lì, ben allineati nella compostezza della loro età, per l'ultima volta.
"Buona notte e in bocca al lupo per l'intervento! A domani sera." Rosanna, l'infermiera del turno di notte con la sua voce argentina venne a salutarmi... mi augurava buona fortuna. "Signore, aiutami, accompagnami in questo passaggio e fammi risvegliare presto e nella mia piena dignità." Con queste parole rivolte al Buon Padre mi addormentai.

domenica 20 marzo 2011

Avevo appena tirato fuori dal borsone la mia tuta azzurra che nella stanza entrarono per sottopormi ad elettrocardiogramma Luigi e Dacia, il primo allievo infermiere, la seconda allieva ostetrica, due bei ragazzi scherzosi che erano lì in reparto per il tirocinio. L'esame fu rapido, sdrammatizzato dai loro sorrisi e da un atteggiamento immediatamente familiare che si può avere solo a quell'età. Non feci in tempo a rialzarmi dal letto che ecco arrivare Annarita e Federica, altre due allieve per il prelievo. Caspita, che efficienza! Avevo aspettato più di due ore per il ricovero ma ora davvero si andava al recupero in modo grandioso. "Vi faccio male, signora? Dio, come mi dispiace..." Alla piccola Annarita cominciò a tremare la mano dopo i vani tentativi di prendere una vena buona. "Madò, come faccio?!? Ma avete dolore... tanto?" " Non ti preoccupare, non è colpa tua, la chemio mi ha rovinato le vene. Tu continua, stai calma e fai quello che devi." "Fossero tutte le pazienti così! Siete gentile." E le vene continuavano a giocare a nascondino. "Dai, basta, chiamiamo Pina." Pina era un'infermiera professionale, arrivò presto e vedendo la situazione non certo facile mi chiese: "Perchè non hai messo il port?" Premesso che non poteva essere certo una mia scelta, nessuno mai me ne aveva parlato prima d'allora e ciò che sapevo dell'argomento era puro frutto della mia ricerca. "Ma tenere questo coso, non so... forse è meglio di no" "Ma che dici?! Non si vede niente, è comodo e poi ti evita tutto questo." Comunque almeno lei riuscì a trovarmela una vena e anche il prelievo alla fine fu fatto. Un profondo respiro per riprendermi... "Dovete scendere per i raggi al torace." Di nuovo? Senza pausa in meno di un'ora avevo fatto tutti gli esami pre-intervento e all'ora di visita ero in camera cercando di sistemarmi. "Buon giorno!" salutò in modo discreto la mia nuova compagna di stanza ed entrò come figura significativa in questa parentesi della mia vita.

sabato 19 marzo 2011

In un unico rigo tutto quello che era da dire, il referto mi portava in avanti più di un passo sulla via della speranza che si concretizzava. Mah, per un anno sono a posto, ho pensato, perchè se ti danno un appuntamento del genere con scadenza a dodici mesi, un motivo ci sarà. "Non rilievo allo stato attuale di reperti focali di sicuro significato patologico". Sì, perchè quei benedetti "frustoli minimi di ghiandola mammaria" alla mammella superstite ci sono sempre, nodulini benigni non palpabili, che "a scopo comparativo e precauzionale" però dovranno sempre essere sottoposti a controlli periodici. E pensare che nella stessa giornata l'anno scorso feci l'agobiopsia per stabilire la loro vera natura e da allora quante cose sono successe e quanto io sono cambiata avendo imparato a gioire dei piccoli traguardi raggiunti come fossero grandi vittorie. Come oggi. E avrei voluto esserlo di più, felice, ma non potevo, perchè in me sempre serpeggia latente un curioso senso di colpa nei confronti di chi non è fortunato come me e non va incontro ad un'evoluzione positiva della malattia. Mi chiedo perchè a qualcuno sia negata la speranza; è vero, a noi non è dato saperlo, ma vorrei tanto conoscere il criterio di selezione in base al quale tante volte si trova a soffrire la persona migliore. Non si può nulla contro questa specie di "roulette russa" e con chi, stravolto dal dolore continua a pensare che tutto passerà con la brutta stagione, si diventa solidali; certo, è così, tutto passa prima o poi, è una parentesi, come parentesi siamo noi stessi nella storia... causa ed effetto... tutto e tutti, qui sulla terra non per caso.

giovedì 17 marzo 2011

Mi rivolsi a guardare Lei, la madre celeste, una muta preghiera perchè non occorrono parole per chi può leggere nel cuore; poi null'altro, ero serena, sarebbe passato del tempo, certo s'era capito, ma tutto si sarebbe sistemato, lo sentivo.  Mio marito continuava ad essere agitato e la dottoressa D. si scalmanava al telefono, ad un certo punto mi venne quasi da ridere, ero riuscita a raggiungere uno stato d'animo ottimale, distaccato come se la cosa non riguardasse me, e aspettavo... Mi si era seduta accanto una paziente con il capo coperto da una bandana, in silenzio lo sguardo fisso al pavimento, poi la testa all'indietro appoggiata al muro e gli occhi chiusi, forse persa nei pensieri. Arrivò un'infermiera con una cartella clinica sotto il braccio, la chiamò, doveva andare in sala operatoria per l'intervento, dopo qualche minuto mi passò davanti sulla barella. Provai un brivido e per un po' smisi pure di pensare, poi mi ripresi perchè non era certo quello il momento di lasciarsi andare, proprio ora che stavo per entrare nel vivo della battaglia! Passarono così, "serenamente", due ore. "Ce l'abbiamo fatta: stanza 12, letto 37". Con un sospiro di sollievo mi sentii come chi fosse riuscito a raggiungere la vetta dopo tanta fatica, e con "armi e bagagli" presi possesso della mia "suite". E non c'è tanta ironia in questo appellativo, perchè dopo tanto attendere m'era venuta bene in quanto per mancanza di posti ero stata sistemata in una stanza a pagamento, due soli letti, un balcone a tre uscite e un'ampia finestra ed un bagno grande fornito di doccia. Beh, tutto sommato niente male, anche "il mobilio" era apprezzabile, diverso dalle altre stanze, sarei stata bene in qualsiasi caso, ma così era davvero l'"optimum". Non vedevo l'ora di sistemarmi, di mettere tutte le mie cose a posto, di rendere quella "mia nuova dimora" ancora più accogliente, che io non sentissi, se possibile, la mancanza del rifugio che avevo momentaneamente lasciato.
Alla fine delle scale ebbi la netta sensazione di aver dimenticato qualcosa. Da sempre era stata mia abitudine quando mi allontanavo da casa ricrearmi l'ambiente, ho un'indole da gatto domestico, abitudinaria, legata alle sue cose e non avvezza ai facili cambiamenti. Anche in quell'occasione di spostamento forzato non ero stata proprio minimalista e così mi ero ritrovata senza accorgermene non solo con il borsone, ma con varie buste contenenti "cose per me indispensabili". Allora, che cosa stavo dimenticando? Mah! Non mi veniva proprio. Ero già entrata in macchina che mi venne un lampo. Il cappellino! Lo avevo lasciato in camera da letto sul famoso comò; non potevo andare in ospedale senza cappellino, come avrei fatto una volta tolta la parrucca? "Devo tornare a casa immediatamente!" "Perchè? Che cosa è successo?" Non risposi nemmeno che ero già di nuovo su per le scale, veloce perchè  le otto erano passate da un po' e m'era stato detto di presentarmi presto. Beh, ma anche le otto e mezza, dopo tutto non sarebbe stato tardi:  faccio presto... due minuti e sono subito giù!
Finalmente provvista di ogni accessorio e supporto arrivai in ospedale, al quarto piano, mi presentai dalla caposala con in mano la lettera del dottor C. "No, tenetela pure. Dovete aspettare un po' perchè oggi con l'inizio del periodo estivo sono cambiate le disposizioni." Non capivo cosa avesse voluto dire... cambiate le disposizioni, ma io avevo una lettera che predisponeva al ricovero... o no? Cominciò a serpeggiare l'agitazione, poi decisi di fare training autogeno e quella stessa restò solo a mio marito che prese a misurare il pavimento a grandi passi facendo su e giù con la faccia sempre più scura. Arrivò la dottoressa D.e disse qualcosa ma poi cominciò ad essere agitata pure lei. Ma insomma quali fossero queste nuove disposizioni per il periodo estivo non era lecito sapere visto che ci venivano dette mezze frasi avvolte nel mistero. "Se oggi non ti ricoverano faccio un pandemonio!" Sbottò il compagno della mia vita, ed intanto io, prevedendo un'attesa ancora più lunga, andai a sedermi nello spazio al centro del quale troneggiava la statua dell'Immacolata Concezione.

mercoledì 16 marzo 2011

La luce è cambiata, viva resta più a lungo a rischiarare il giorno; il profumo dell'aria riempie i polmoni e quasi mozza il respiro. A metà marzo si può dire che la primavera è lì lì per arrivare: "il freddo passerà e poi si starà meglio," e forse per poco potrà anche tornare l'aria cupa dell'inverno  ma di sicuro si scivolerà piano piano nella bella stagione che non ha fine.
Fuori dal finestrino vedo correre una lunga fila di alberi di pesco in fiore, tutti in rosa come sempre si dovrebbe vedere la vita: "il freddo passerà e poi starò meglio." Guardi al futuro, t'incammini sulla sua strada, ma sei stanco, rabbrividisci e non bastano coperte per riscaldarti; è naturale... il freddo non è ancora passato. Ma perchè gli altri non lo sentono? A volte fingono solo per compiacere, ed esagerano e vorresti non vedere. Ma un po' di ristoro si può dare, così naturalmente col calore del sorriso e delle parole, guardando al futuro insieme, immaginandolo di nuovo colorato di rosa come i fiori di pesco, d'azzurro come il cielo limpido di primavera. Il freddo passerà e si uscirà finalmente nello spazio aperto dove lo sguardo si perde e si ha la sensazione dell'Infinito. La  Speranza, quella con la maiuscola, non muore mai: "il freddo è passato e, lo sento, sto bene." Dio, come è difficile  entrare nell'imperscrutabilità dei tuoi disegni! Perchè non è per tutti la facilità di un percorso? E poi esiste davvero un percorso più facile di un altro? Tu solo sai.
Torno a casa. Sulla via del rientro la stessa lunga fila di alberi di pesco continuano a... correre. Li osservo e il pensiero va oltre dopo quest'ultima "lezione d'amore."

martedì 15 marzo 2011

Stamattina ci contavo di poter alleggerirmi di un peso, fare un altro passo avanti, avere la certezza di una speranza sempre in divenire. "Devo ritirare un referto." "Un attimo solo." La ricerca di una busta tra le altre. Strano, non c'è. Ma è oggi il 14? Mi chiedo. "Scusate ancora." Passa qualche minuto. "1953? (anno di nascita)... mi dispiace, non è pronto... manca la dottoressa, rientra mercoledì... ripassate." Ma come una 048 (codice dei malati oncologici) deve ritornare, deve vivere ancora momenti d'ansia, non ha dato già abbastanza "alla nobile causa"? E' evidente che no, se alla mia domanda forse inopportuna ma comunque comprensibile "C'è qualche problema?" arriva la risposta un po' stizzita "Signora... la dottoressa deve mettere la firma al referto!" "Scusate." ho risposto con un timido sorriso e all'improvviso ho avuto tanto caldo, quasi soffocavo. Pensavo che non avrei mai rivissuto queste sensazioni e invece... Sono uscita di lì e avrei voluto piangere. Brava! Faccio la forte e poi mi perdo così, affogo in un bicchier d'acqua. Mi sono ricomposta e sono salita in reparto, tra i miei amici, dove mai mi ritrovo da sola con i miei pensieri perchè li condivido ricevendo in regalo tanta forza. E si scambiano sguardi e negli occhi si leggono storie, percorsi, una lotta che non finisce mai. Lo sguardo arrabbiato ma anche smarrito di chi da troppo tempo s'aggrappa alla vita, quello spaventato di chi la sente sfuggire come sabbia tra le dita, lo stupore negli occhi di chi finalmente si rende conto e non crede sia vero, di poter chiudere un'ampia parentesi che aveva interrotto il suo lineare discorso con la vita. S'impara tanto leggendo quegli sguardi, ne vien fuori la natura umana, fragile, vulnerabile ma anche forte quando combatte la battaglia per la vita, un po' incredula ma tanto felice quando ne esce vittoriosa.

lunedì 14 marzo 2011

Presi sonno senza difficoltà e dormii serena, poche ore ma tranquille. Mi svegliai presto; la luce del nuovo giorno entrava "ad intermittenza" attraverso le persiane dello stanzino in fondo al corridoio. Mi alzai, aprii la finestra, un vento freddo mi sorprese, inaspettato per quel primo giorno d'estate dal cielo non privo di nubi; strappai un altro foglietto dal calendario, 21 giugno, san Luigi... il protettore degli ammalati, mi avevano detto, potevo star sicura che tutto sarebbe andato bene, me ne ricordai solo in quel momento. Era anche l'onomastico di mio padre, dopo due giorni sarebbe stato anche il compleanno e questa volta nessun pranzo di famiglia per festeggiare i suoi 79 anni, sempre a causa mia, quanto scompiglio avevo portato mio malgrado nel naturale corso dei giorni di chi amavo! Richiusi la finestra. Dovrò mettere un golfino, pensai, è davvero freddo. Intanto Biù Biù era scesa dalla cuccia e aveva cominciato a far le feste; riempii la ciotola di croccantini e cambiai l'acqua da bere. Chissà se il giorno dopo si sarebbero ricordati di farlo??! Preparai il caffè mentre la sveglia suonava. Strano, le operazioni, i suoni, i profumi erano gli stessi di sempre, eppure quella mattina a me sembrava tutto diverso perchè mi muovevo lentamente, quasi a fissare ogni azione per non scordarmela più, ogni movimento compiuto con calcolo e precisione, oggi potevo farlo, ero lì, in piedi, sempre la stessa... domani... non sapevo cosa sarebbe stato domani. Alle otto del mattino fui pronta, e sostai un po' sul pianerottolo prima di richiudermi la porta alle spalle; un ultimo sguardo alla mia casa, anche questa volta mi dispiaceva tanto lasciarla, rappresentava per me la sicurezza della quotidianità, la certezza che mi appartenesse e che la potessi vivere senza limiti di tempo. Poi, basta! Scesi in fretta le scale, cercando di non pensare. "Caspita, che freddo stamattina! E meno male che oggi entra l'estate." Marianna che abita al primo piano stava entrando nell'atrio quando l'incontrai, mi tenne aperto il portone. "Buona giornata!" "Grazie, buona giornata anche a te, Marianna."

sabato 12 marzo 2011

A riprova della mia presenza ho sempre continuato a...fare le stesse cose, non mi sono mai lasciata andare abbandonandomi agli eventi, anzi ho cercato di dominarli per quanto mi fosse possibile. Ora avevo tutto pronto per la degenza in ospedale, eppure andavo spesso a controllare perchè non dimenticassi niente... una domenica così, quasi come le altre ma con un valore aggiunto, il piacere di apprezzare le mura domestiche, il calore degli affetti e persino un cielo bigio pur con l'estate alle porte. La mattina di buon ora ero stata al cimitero a pregare davanti alla lapide di mia madre, la sentivo così vicina! Ne venni fuori rassicurata... andavo in opedale per affrontare un intervento anche serio, ma non sarei stata sola, lo sentivo... la mia mamma... l'avrei pensata intensamente ancora una volta e mi avrebbe di nuovo preso in braccio come quando ero piccola.
Andai poi al cimitero degli animali, dalla mia piccola Betty. Il cielo minacciava pioggia come il giorno che l'avevamo sepolta: ebbi un brivido e fu come essere staccati dalla realtà; chi ha vissuto la sofferenza per la perdita di un piccolo amico può capire a cosa mi riferisco, andai via di là con il cuore stretto in una morsa: erano successe troppe cose in un breve arco di tempo. Tornai a casa... quel giorno l'amore della mia vita sempre accanto... qualche faccenda e poi il pranzo, tutto come sempre, che nessuno avesse da pensarci troppo su, questo volevo e a tal fine m'impegnavo. Eppure Valeria era molto nervosa, non riusciva a nasconderlo ed io per qualche momento mi sentii destabilizzata, come se mi venisse meno un sostegno, non potevo pretendere troppo da lei, lo sapevo bene e del resto non lo volevo, avrei dato non so cosa per non essere ancora causa  di dolore.
A fine serata andai a casa di mio padre, c'erano tutti, le mie sorelle, mio fratello, nipoti e affini, tutti lì per salutarmi e per un "in bocca al lupo", cui fu immediato e spontaneo rispondere "crepi!"... ed ora aggiungo "sempre e solo lui!"
La nuora di Pasqualina stringendosi alla suocera le ha fatto un grosso complimento, "E' stata sempre una donna forte, ora poi con la malattia lo è diventata ancora di più". E lei, sempre sorridente, sempre anche quando si appisola, ha risposto: " E' naturale, quando mi sono svegliata dall'operazione mi sono sentita una cosa... un'energia tutta nuova  e ho capito che potevo superare tutto. Dopo queste flebo devo farne altre per tanto tempo, ma non m'importa perchè io sono così", e nel pugno ha stretto la sua forza. Antonietta l'ascoltava un po' dubbiosa, oggi per lei iniziava l'EC, affrontava qualcosa che non conosceva e i dubbi erano legittimi. La "terapia forte" la spaventava e ogni tanto sussurrava un "chissà", perchè lei dice che si abbatte, lo dice ma sicuramente non è vero; lo credevo anch'io e quando mi soffermavo a pensare al futuro, a quello che avrei dovuto affrontare per curarmi, mi sentivo mancare la terra sotto i piedi, no, no che non ce l'avrei fatta. E invece, eccomi qua, non so se forte come Pasqualina, ma comunque in grado in una non auspicabile eventualità, di reagire ancora e di combattere. Non sono Wonder Woman, ho solo un'immensa voglia di vivere, una gioiosa partecipazione alla realtà che mi circonda; penso però di non essere la sola, bisogna sapersi guardare dentro e porsi un'unica, semplice domanda:" Quanto io voglio vivere?" E nella misura in cui viene data la risposta ci sarà l'impegno perchè la vita non sia vissuta invano. La forza è insita in ogni uomo, è necessario ripeterselo più volte quando questa malattia ha deciso di sceglierti. Un anno fa io l'ho capito ed ogni volta che dovevo affrontare una nuova prova dalle mille incognite, mi dicevo, passerà anche questa ed io continuerò ad... esserci, perchè lo voglio. La mattina di quella domenica di giugno, giorno prima del mio ricovero, mi svegliai con questa idea che era più di un pensiero, era una ferma convinzione.

venerdì 11 marzo 2011

Quel sabato mi sarei dedicata a sistemare la casa, il bucato, ad innaffiare le piante e pulire gli acquari: chissà quando avrei potuto farlo di nuovo! Feci tutto con lena e molto serenamente. In quei giorni era piovuto e la temperatura era inaspettatamente calata dopo un caldo esagerato per un inizio di stagione. Sono fortunata, pensai, l'intervento è meno pesante con questa temperatura e mi riprenderò presto. Era questo a cui tenevo maggiormente, non m'interessava perdere la mammella, non più almeno, volevo rimettermi in breve tempo e ritornare alle mie normali attività. Pensavo al mio braccio, per giunta il destro, temevo che si potesse gonfiare... come avrei fatto?! Ma poi non era detto, poteva anche filare tutto liscio, anzi doveva andare proprio così, senza alcun intoppo, dovevo solo crederci. La sera andammo come al solito in pizzeria, di lì ad otto giorni chissà cosa avrei fatto in quel medesimo momento, comunque tutto sarebbe finito ed io avrei potuto riprendere il mio cammino. "Allora, sabato prossimo non veniamo, ci vediamo tra due settimane." Eh sì, mancava proprio poco, meno di trentasei ore al mio ricovero. Uscimmo dal locale e soffiava più che una brezza, rabbrividii, alzai gli occhi al cielo, quella sera senza stelle, forse cercando delle risposte alle tante domande che affollavano la mia mente. Ebbi un momento di panico... ma perchè mi era capitato tutto questo?... poi mi ripresi subito, ma sì... la degenza, l'operazione non erano castighi, ma altre occasioni da sfruttare, come del resto il tumore, prove che testavano la mia forza di carattere e la capacità di riprendere in mano la vita.

giovedì 10 marzo 2011

Oggi mi sento molto più sollevata. Come dopo ogni "compleanno" è stato mettere un punto fermo e andare a capo... ricominciare partendo quasi da zero. Mia nipote aveva ragione, un vero e proprio compleanno, e stamattina mi sono svegliata serena e ho abbracciato l'amore della mia vita alle spalle, contenta di esserci, contenta che lui ci fosse. Ho indossato un pantalone mai messo, che avevo da due anni nell'armadio: che cosa aspettavo? Rimandare è la prova che si ha un'errata percezione del tempo, come se non dovesse mai finire, e intanto si perde il gusto di vivere a pieno il presente. Ho parlato con chi conosco appena, con chi ho conosciuto solo ieri e ringrazio Dio perchè mi offre la possibilità di essere finalmente me stessa senza riserve e smorza il mio pudore nel regalare una carezza. Ho passeggiato al tiepido sole di quest'altra rigida giornata e mi è piaciuto, mi è piaciuto molto perchè mi ha fatto dimenticare quanto possano essere malinconici certi ricordi. E' vero,  a volte ho delle battute di arresto, ma so di essere cambiata e non posso subire i condizionamenti di ciò che è stato, è meglio che continui a soffermarmi su due uccellini che si scambiano il cibo saltellando sui gerani del mio balcone... prima non l'avrei mai fatto, per non perdere tempo, e intanto gettavo via un'istantanea di vita, un momento di meravigliosa serenità.
Stasera ho aperto per caso un cassetto dell'armadio di mia figlia, ormai sempre meno pieno delle sue tante cose e mi è venuto il magone. La vita va avanti... sempre e comunque; conviene che io le dia una mano per non esserne solo spettatrice ma partecipe con tutta la gioia che essa richiede.

mercoledì 9 marzo 2011

"Secondo me oggi devi festeggiare come se fosse il tuo compleanno. E allora io ti faccio gli auguri". Stamattina mi è arrivato questo messaggio di mia nipote e gli auguri non erano per la festa della donna ma per quell'anniversario che la mia mente non vorrebbe ricordare; la giornata, infatti era iniziata all'insegna del non ricordo ma non intenzionalmente, sfaccendavo in casa prima di uscire e mi sentivo tranquilla, poi, poco prima di quel messaggio, una telefonata... certo, era l'8 marzo! E il susseguirsi degli eventi nello stesso giorno di un anno fa mi si è mostrato in maniera prepotente lasciando i segni; mi son sentita stanca e fiacca e il mio ritmo è rallentato, perdevo di vista le cose da fare perchè il pensiero andava sempre là, a quel giorno. Ad un'angoscia inspiegabile, al dolore e alle tante lacrime, ad un'ansia incontrollabile. Eppure a quel giorno dovrei essere grata, perchè subito dopo tutto cambiò, e non fui più sola con quel macigno sul cuore, cominciai a curarmi, il tumore mi fu tolto e se ora sono qua è perchè l'8 marzo dell'anno scorso mi fu fatta quella diagnosi di "carcinoma duttale infiltrante" e fu chiaro ciò che era da farsi. Tutto il resto è noto.
" Ti vedo un po'giù oggi", mi è stato detto poi; era quindi così chiaro quello che provavo? Sicuramente sì, se persino guardandomi allo specchio ho notato i miei occhi sorridere senza luce. Ma anche oggi sta passando e si guarda avanti; abbiamo mangiato una pizza a casa, così per festeggiare; l'anno passato... una pizza, la stessa  perchè non avevamo preso niente per tutto il giorno e non avevo avuto testa di cucinare. I vassoi sporchi ora son tutti finiti nella pattumiera, i piatti sono stati lavati ed ogni cosa, proprio ogni cosa è tornata come prima.

martedì 8 marzo 2011

Presi allora una decisione un po' " folle" per una donna della mia età, ma decisamente giustificabile se la stessa deve salvaguardare la sua salute mentale in una situazione così critica. Comperai un reggiseno push up ad olio o a gel che dir si voglia, andai a casa e lo provai immediatamente; mi guardai allo specchio e avendo ancora entrambe le mammelle, apparivo come una supermaggiorata, poi, con necessari ed adeguati accorgimenti, avrebbe sopperito all'inevitabile mancanza grazie a quella morbida e "naturale" imbottitura. Fui molto soddisfatta, un altro problema era risolto, un altro passo in avanti era stato fatto. Sistemai nel borsone il reggiseno con tutta la scatola perchè le coppe non si deformassero e andai oltre. Al momento del ricovero non avrei voluto indossare subito il pigiama, "non ero malata", nè sarebbe stato il momento di andare a dormire a quell'ora del mattino... allora, mi balenò,  perchè non portare una tuta??! Indossata con una maglietta colorata sarebbe stata perfetta, almeno prima dell'intervento. Pensare a tutte queste...come vogliamo chiamarle... banalità, mi aiutava molto, mi distraeva, faceva pensare a me stessa come una donna che intendeva continuare a... scegliere, piacersi, che desiderava con tutto il cuore vivere. Quegli ultimi giorni trascorrevano così, un po' tra l'agitazione dei preparativi, tutto pronto... beautycase e libri al seguito...e una sorta di eccitazione che diveniva quasi euforia, poi mi veniva il batticuore, provavo timore e decidevo di andare a riposare per custodire nel sonno i sentimenti contrastanti. Quei giorni passarono tutti e si arrivò al sabato... un altro sabato che della settimana per me è sempre giorno di quiete.

lunedì 7 marzo 2011

Nel mio racconto il passato e il presente si alternano sino a fondersi nell'immediato, e man mano che il ricordo degli eventi sbiadisce senza mai perdersi, vivo con forza il momento che mi viene ancora offerto dandogli merito. Ed è così che trovo in me un'altra persona che, pur sull'onda delle emozioni resta lucida e sa riconquistare la serenità nelle situazioni più difficili. Posso ora ritornare con la memoria al giorno in cui finalmente fui sicura che presto sarei stata liberata da quell'angoscia; il solo pensiero, pur tra mille dubbi mi diede carica e anche una specie di entusiasmo. Tirai fuori subito il borsone da portare in ospedale anche se mancavano cinque giorni al ricovero e cominciai a prepararlo piano piano, un po' come si fa quando si è prossime a dare alla luce un bambino, per essere sicure di non dimenticare nulla. Gli asciugamani, la biancheria personale e, poichè era quasi estate, qualcosa di nuovo, una camicia da notte rosa antico e un pigiama giallo pulcino, più quello bianco a rose blu cui ero affezionata. Nello stanzino, su una sedia il borsone restava aperto all'occorrenza; lo controllavo di frequente perchè volevo che non mi mancasse niente  e questo pensiero dava l'impressione e non solo a me, che stessi quasi preparandomi ad una vacanza. Insomma l'atmosfera in casa era abbastanza distesa e la serenità ne guadagnava, preparavo tutto in modo che anche questo momento fosse una parentesi nella parentesi, alla fine, pensavo, saremmo pur arrivati a mettere un punto fermo!
Poi, tre giorni prima di quel lunedì mi venne un pensiero; il dottore mi aveva detto che mi avrebbe ricostruito subito, ma se per un motivo qualsiasi non fosse stato così? Come sarei uscita dall'ospedale? L'immagine di me priva di una mammella mi fece sudar freddo; avevo fatto tanto per mostrarmi al meglio come se niente fosse ed ora... Non potevo certo permettere che "per un punto Martin perdesse la cappa."

domenica 6 marzo 2011

Non so se era prevedibile, ma ho sbagliato di nuovo; ieri sera evidentemente ero agitata perchè nel preparare i referti inerenti agli esami mammari veri e propri, ho preso due che non c'entravano e ho lasciato la risonanza  e l'agobiopsia. Mi sono confusa, è chiaro, ma quando la dottoressa ha detto:"Ma cosa mi ha portato?!!" mi sono sentita una stupida oppure una ragazzetta che va a scuola impreparata. A parte la figuraccia, ero inquieta un po' per tutto, per la mammografia (e meno male che è una sola mammella) e per le storie ascoltate in sala d'aspetto. Non appartengo alla categoria dei "deboli di cuore" e non sono affatto suggestionabile, ma quella di oggi era una mattina particolare ed io mi son trovata incline all'ansia e al dubbio. "Ma il capezzolo l'ha sempre avuto così?" Ed ecco un altro motivo per cui sentire venir meno la tranquillità anche se la situazione del capezzolo è più o meno la stessa da sempre. E quando durante l'ecografia sul monitor sono comparsi (sbirciavo non vista) "i frustoli minimi di ghiandola mammaria"? Quasi panico perchè li conoscevo già, ma ho pensato,visto che erano già "minimi" un anno fa, ora non potevano essere "nulli"? Evidentemente no. "Abbiamo finito, signora. Tutto bene. Il risultato fra nove giorni." "Tutto bene?" Ho chiesto timidamente. "Tutto bene" mi è stato replicato ma non ancora mi è ben chiaro: non vorrei illudermi.  Aspetteremo questi giorni e poi si vedrà e qualora fosse di nuovo il buio, non potrà mai essere, come diceva mia nonna, più nero della mezzanotte. Peggio di quello che ho vissuto!!?
Quando sono uscita era quasi mezzogiorno e pioveva ancora. Un forte vento faceva sì che le gocce arrivassero sferzanti e pungenti come piccole frecce, l'ombrello non bastava come riparo. Sono salita sull'autobus, immersa nei miei pensieri, non c'era quasi nessuno a viaggiare con me, di sabato è così. Già... oggi è stato sabato... come un anno fa... un sabato diverso... gli stessi pensieri, le stesse emozioni.

sabato 5 marzo 2011

"Riportare i radiogrammi in caso di successivi controlli". Premesso che "in caso" non è eventualità ma certezza, stasera ho dovuto scartabellare le mie carte e districarmi tra decine di fogli per trovare quelli giusti. Il 5 marzo è arrivato e domani ho la prima mammografia dopo quella che ha preceduto l'intervento: è passato un anno esatto. Per non rischiare rimbrotti come già mi era capitato quando ho fatto la risonanza lombare e avevo dimenticato gli esiti degli esami precedenti, con calma ho messo via quello che mi pareva opportuno, forse anche qualcosa in più, vedi mai... "melius abundare...", ho sistemato tutto in una di quelle grandi buste gialle e poi... "Che Dio me la mandi buona!" ho pensato e ho preso a fare altro. Per prima cosa dovevo cercare qualcosa di comodo e pratico da indossare dal momento che questo esame si fa in due volte successive e quindi è uno spogliarsi e rivestirsi doppio, cosa che per noi "mastectomizzate"  tra imbottiture, reggiseni strategici e fascia frena-espansore è di un certo disagio. Così ho tirato fuori dall'armadio un golfino che non ricordavo quasi più, celeste con la zip, una sciarpina dello stesso colore con pochi disegni in marrone e li ho appesi ad una gruccia... tutto pronto per l'appuntamento di domani... perchè, si sa, ho sempre amato curare il mio "look" per questo genere di impegni. E' servito soprattutto a sdrammatizzare ogni cosa e così sarà anche ora perchè non nascondo che un po' d'ansia c'è; è troppo vivo il ricordo angoscioso e triste di quel giorno in cui mi sentii alienata e fuori da ogni dimensione, e se ci ripenso sento i brividi, ma Valeria pure questa volta mi accompagnerà ed io non sarò orfana di presenze nè di conforto...  ciò mi basta. Tra qualche minuto andrò a dormire; poichè oggi tutto è diverso saranno solo sogni d'oro per me, e serenità e speranza mi saranno compagne in questa notte di nuvole e di stelle.

venerdì 4 marzo 2011

Stamattina sono scesa che pioveva di già; che faccio?! Tiro fuori dalla borsa l'ombrello!? Ma era già tardi e avrei perso l'autobus se avessi indugiato ancora. Oh, ma che importa, mi son detta, un po' d'acqua non farà certo male alla mia riccia chioma, anzi rinfrescherà questa " permanente" naturale. Poi, quando ero ormai sull'autobus preso al volo, finalmente rilassata c'ho pensato su: ma sono proprio cambiata! E di brutto, aggiungerebbero i miei figli. Un tempo, neanche troppo lontano, uscivo con l'ombrello non dico aperto ma quasi, pure col cielo parzialmente nuvoloso, caso mai fosse venuta giù qualche goccia non avrebbe rovinato i miei capelli assolutamente e rigorosamente lisci, ben pettinati, in ordine ma che alla fin fine non mi piacevano più di tanto neppure con un sole smagliante Quanto ero insofferente! E che dire dei miei "nuovi" occhiali da vista? Nuovi per modo di dire, li avevo da due anni ma non l'indossavo mai perchè li trovavo troppo squadrati e pesanti; riposti nella loro custodia giacevano nel solito cassetto del comò in attesa di tempi migliori che io credevo non sarebbero mai venuti, fino a qualche giorno fa. Stesso atteggiamento disfattista per un paio di occhiali da sole che la mia intolleranza voleva sempre calati sulla punta del naso. Oggi, tirati fuori e rispolverati sono diventati amici  inseparabili del mio viso. Tutto mi va bene e se qualcosa mi disturba per un po', mi andrà bene dopo quando sarà passata la nube nera del malumore. E' come se la mia natura si fosse sdoppiata ed ognuna delle due parti avesse preso le distanze dall'altra, e guardandola poi da lontano la sentisse estranea. Ho notato questo mentre parlavo con Elisa, un'altra delle "mie amiche", che sta facendo una terapia di supporto di calcio; le spiegavo un po' la mia filosofia di vita, conquista recente, e come in virtù di questa riesco a barcamenarmi tra disagi piccoli e grandi sempre legati alla mia "disavventura". Mentre parlavo mi ascoltavo con lucido distacco e mi pareva di non riconoscere la persona di un tempo; era come se parlasse un'altra, eppure apprezzavo e condividevo ogni parola. Chissà, forse il mio è un discorso assurdo, incredibile ma le sensazioni che provo in questo mio nuovo stato "di grazia" sono talmente particolari e gratificanti che non possono non essere condivise.
Tornando a casa continuava a piovere ed io a capo scoperto mi beavo di quel picchiettare sui miei riccioli mentre respiravo il profumo degli aghi di pino fradici d'acqua che tanto mi ricordava l'infanzia.

giovedì 3 marzo 2011

Oggi non mi è stato facile rientrare nella mia quotidianità; mi muovevo per casa simile ad una farfalla all'interno di un barattolo di vetro, come se sulla mia anima ci fosse una patina. Ho parlato poco, perchè le parole sarebbero state semplici suoni messi insieme per banalità, ho pensato tanto, per dare una risposta a tanta "ingiusta" sofferenza. Che dico??! Proprio io parlo così, mi reputo donna di fede e mi sconcerta come va la vita, a volte  incurante e irrispettosa, quasi fosse priva di significato!!? Per me è un momento, quello che mi è successo mi ha reso forte ma non abbastanza da restare impassibile al pianto di una figlia, alla delusione di chi ha pensato di poter finalmente lasciare tutto alle spalle e viene smentito, alla notizia che c'è sempre qualcuno che perde ancora la partita. Non posso nascondere l'amarezza e a tratti provo anche un vago senso di colpa per quel "privilegio" che non ho chiesto ma che, non nascondo, mi dà una gioia immensa. Per me al momento tutto procede per il meglio e ne sono felice, ma che merito ho avuto perchè fosse così? Continuo ad...essere frastornata mentre cerco di volar via da quel barattolo di vetro; la realtà mi appare deformata e i suoni mi arrivano distorti mentre a questo punto della mia storia dovrebbe essere ben altra cosa. "Niente avviene per caso"... continuo a... ripetermelo e se sono ancora qui un motivo deve esserci, forse, come qualcuno mi ha detto, per metter fuori il meglio di me stessa e mostrare di quali effetti è capace la determinazione di farcela ad ogni costo. A me che coraggiosa non sono mai stata, in verità non sembra di fare chissà che, porto solo me stessa e il mio fardello che man mano diventa più leggero senza poter però esser mai deposto. Ma se ora il ricordo di un momento doloroso come l'aver visto il primo ciuffo di capelli tra le dita e l'ansia per il controllo fra qualche giorno vogliono appesantire di nuovo il mio animo, devo oppormi perchè so di poterlo fare, servirà a me e allo scopo per cui mi è stato dato ancora tempo per continuare il cammino.
Apro quel barattolo di vetro e la gioia di aver trovato l'uscita fa dimenticare alla farfalla la prigione che l'ha trattenuta fino a poco tempo prima.

mercoledì 2 marzo 2011

Ma continuo a... pensare a quegli occhi pieni di lacrime e torno indietro a poco più di sei anni fa, quando mi fu detto che a mia madre sarebbe stato necessario amputare le gambe. Che dolore provai! Un senso d'impotenza... poi subito un moto d'egoismo; non importa, pensai, l'importante è che c'è, che possa stare ancora con noi. Le lacrime arrivarono dopo, quando lei acconsentì all'intervento per assecondarci: "Ma mi vorrete sempre bene??! Anche se non avrò le gambe?" Oh, mamma anche di più! L'avrebbe fatto solo per noi, perchè lei avrebbe preferito "andarsene con le sue gambe" e conservare la dignità. Ne aveva avuta tanta in quegli anni di malattia, ed io quando mi è caduta questa grossa tegola sulla testa, un tumore "incredibile", ho promesso a me stessa che sarebbe stata ancor più il mio modello... di vita, di sopportazione, di coraggio. Forse qualche volta ho avuto un cedimento, ma l'ho sentita sempre accanto, mi ha infuso altro coraggio, mi ha aiutato a rimanere in piedi e ad andare avanti anche quando la paura era tanta. E per questo ero uscita dallo studio del medico sorridendo, con quel sentimento ridimensionato dalla speranza di poter finalmente azzerare l'ansia. Mancavano sei giorni al ricovero e tante erano le cose a cui pensare, dovevo sistemare la casa, prepararmi per la degenza... non dimenticare niente. Mi sentivo forte abbastanza, condividevo con tutte le persone amiche l'attesa di quell'evento che mi avrebbe riportato la stabilità emotiva. Ero contenta, eppure ogni tanto era come se la mente si bloccasse, fissa su un pensiero: e se tutto fosse stato inutile e non ce l'avessi fatta? No, non era possibile, mi dicevo, e poi, forza, diamoci da fare! E cominciavo a pensare a ciò che di bello avrei vissuto anche in quell'occasione, al nuovo ricovero che mi avrebbe portato a conoscere altra gente, al "riposo", che benchè forzato, mi avrebbe dato carica, al momento che sarei stata dimessa... forse chissà, allo specchio non mi sarei vista più la stessa, ma guardandomi dentro, sicuramente avrei trovato una persona migliore. Mi sarei impegnata, per questo.

martedì 1 marzo 2011



"Te le affido!" In un volto da bambina due occhi pieni di lacrime; il desiderio immediato di stringerla come fosse mia figlia. "La mamma comincia la ROSSA", un colpo allo stomaco per me, ma... "Ah, è un'altra esperienza" e ingoio un boccone che non assaporo. "Subito comincia con lo ZOMETA; domani... il prelievo, mercoledì, la flebo". Avevo intuito, ora era chiaro. Ma come in un quadro che a tinte fosche e cupe riproduce una tempesta, si cerca uno squarcio nel cielo, uno spiraglio di luce come via di fuga a tanta oppressione, così in quelle tre frasi, necessariamente secche e solo in apparenza slegate tra loro, subito sono andata alla ricerca della scappatoia, perchè, bisogna ricordarlo, ce n'è sempre una, e l'ho trovata. "Allora ci vediamo mercoledì! Salutami mamma, e... non piangere, non farle vedere le tue lacrime". Poi mi è rimasto il magone. Perchè tanta sfortuna? Un tumore solo un po' più grande del mio!... Mi sono sentita quasi in colpa per un "privilegio" che dovrebbe essere un diritto di tutti quelli che si ammalano di cancro, la risoluzione rapida, semplificata che non segua vie contorte ed  estenuanti; ma purtroppo non è sempre così. "Ciao, avevo bisogno di sentirti", mi ha detto oggi al telefono quella voce da bambina rotta dalle lacrime; "Oggi c'è stata la delusione e piangere è naturale; il percorso è diventato più lungo e difficile ma non è senza speranza... bisogna crederci e lottare perchè SI VINCE e SI VINCE SEMPRE anche quando sembra impossibile... Piccola cara, CE LA FAREMO!"
Stasera, in silenzio ho appaiato dodici paia di calzini da uomo posti sul termosifone ad asciugare...li ho stesi bene con la mano e mi è piaciuto sentirne la morbidezza e il tepore... ho aperto il cassetto del comò e li ho riposti. Ho ringraziato Dio per quest'altro dono, ancora... ancora...