giovedì 17 marzo 2011

Mi rivolsi a guardare Lei, la madre celeste, una muta preghiera perchè non occorrono parole per chi può leggere nel cuore; poi null'altro, ero serena, sarebbe passato del tempo, certo s'era capito, ma tutto si sarebbe sistemato, lo sentivo.  Mio marito continuava ad essere agitato e la dottoressa D. si scalmanava al telefono, ad un certo punto mi venne quasi da ridere, ero riuscita a raggiungere uno stato d'animo ottimale, distaccato come se la cosa non riguardasse me, e aspettavo... Mi si era seduta accanto una paziente con il capo coperto da una bandana, in silenzio lo sguardo fisso al pavimento, poi la testa all'indietro appoggiata al muro e gli occhi chiusi, forse persa nei pensieri. Arrivò un'infermiera con una cartella clinica sotto il braccio, la chiamò, doveva andare in sala operatoria per l'intervento, dopo qualche minuto mi passò davanti sulla barella. Provai un brivido e per un po' smisi pure di pensare, poi mi ripresi perchè non era certo quello il momento di lasciarsi andare, proprio ora che stavo per entrare nel vivo della battaglia! Passarono così, "serenamente", due ore. "Ce l'abbiamo fatta: stanza 12, letto 37". Con un sospiro di sollievo mi sentii come chi fosse riuscito a raggiungere la vetta dopo tanta fatica, e con "armi e bagagli" presi possesso della mia "suite". E non c'è tanta ironia in questo appellativo, perchè dopo tanto attendere m'era venuta bene in quanto per mancanza di posti ero stata sistemata in una stanza a pagamento, due soli letti, un balcone a tre uscite e un'ampia finestra ed un bagno grande fornito di doccia. Beh, tutto sommato niente male, anche "il mobilio" era apprezzabile, diverso dalle altre stanze, sarei stata bene in qualsiasi caso, ma così era davvero l'"optimum". Non vedevo l'ora di sistemarmi, di mettere tutte le mie cose a posto, di rendere quella "mia nuova dimora" ancora più accogliente, che io non sentissi, se possibile, la mancanza del rifugio che avevo momentaneamente lasciato.

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