lunedì 11 giugno 2018

FINE SETTIMANA IN CONVEGNO (prima parte)


Interessante convegno organizzato dall'Associazione "L'Albero della Vita", partecipante anche il GAMA Oncologico.
Titolo, "Giornata del Malato Oncologico", sulla scia dello stesso, dato alla "quattro giorni" a Roma dalla FAVO, Federazione delle Associazioni di Volontariato in Oncologia.
Molto interessante dicevo, per la varietà dei temi trattati, dal futuro dell'oncologia e la qualità di vita ai nuovi farmaci, dall'assistenza domiciliare all'importanza della spiritualità, dal ruolo di supporto delle associazioni alla narrazione della malattia, ovvero raccontarsi e prendere così le distanze da un evento che stravolge l'esistenza. Comincerò da quest'ultimo punto, perché è quello che mi riguarda, in cui credo fortemente, e per cui sono stata invitata anche a relazionare.
Raccontare la malattia. E poi...?
E poi è successo che mi ero preparata assai bene, con slide efficaci e pensieri in successione che non conoscevano intoppi, parti selezionate dal mio blog perché si legge e si narra, si ricorda e si racconta, e il tempo invece come al solito è stato tiranno, e alla fine ho tagliato qua e là, ho riassunto ma con dovizia dei particolari più importanti, ed è andata bene lo stesso, perché quando ci credi, tutto va da sé, dalla mente al Cuore, dagli occhi alle parole.
In questo spazio che ci appartiene, però non c'è tempo che ci strattona, per questo condivido per Chi ha pazienza, tutti i post scelti, anche quelli che non ho avuto tempo di leggere al convegno. Magari ne viene fuori una bella cosa, qualcuno osa e prende a raccontarsi. Proprio come capitò a me, dapprima in sordina, con qualche breve frase, otto anni fa...

"Dopo tanto pensare e piangere, piano piano mi abituavo all'idea e mi convincevo di voler vivere al meglio la "nuova condizione". Si, ci sarei riuscita.
Ciò che mi tormentava, è inutile dirlo, era dover perdere i capelli. Immaginavo di svegliarmi una mattina completamente calva, quasi potessero cadere tutti in una volta sola, poi toccavo la testa e la sentivo liscia sotto la mano, poi l'accarezzavo e la trovavo fredda. Come avrei potuto sopportare tutto questo?
Dovevo cercare una strategia veloce non solo per sopravvivere ma trovare addirittura il lato piacevole, un aspetto giocoso che mi aiutasse a non pensare. Fu così che pensai alla parrucca. Ci pensai subito e l'avrei voluta immediatamente.
Certo, era questa la strategia da seguire," accettare" una conseguenza inevitabile, comunque "apprezzarla" in quanto reazione concreta e visibile ad un'azione contro la malattia , "renderla meno dolorosa" con un gioco di ruolo insolito per me, scoprire, nonostante tutto, di piacermi lo stesso o forse anche di più".
......
"Velocemente e come un automa notai una sedia libera e mi sedetti. Avevo il cuore che batteva a mille. Ma che ci facevo là, tra tutte quelle persone che parlavano tra di loro, con un cerotto sul braccio o sulla mano quale segno di riconoscimento di una sorte comune? Mi sentivo un'estranea e provavo un certo imbarazzo, da estranea. La sensazione di disagio per fortuna durò poco, cominciai a guardarmi intorno e a fissare nella memoria quei volti, ad ascoltare quelle voci che continuavano a conservare la serenità di un tempo. Doveva essere vero allora, poter adeguare la malattia alla propria vita e vivere così, con grande forza e in assoluta normalità".
.....
"Avevo deciso che non avrei aspettato di vedere i miei capelli cadere a ciuffi e i restanti come atolli sperduti nell'oceano, così programmai per quel pomeriggio del giorno dopo la prima chemio, di tagliare i capelli. Non li avrei rasati completamente, me ne mancava il coraggio, vedermi subito calva, non l'avrei retto, però li avrei fatti corti corti, stile soldato Jane e subito, immediatamente avrei indossato la parrucca. L'avevo già da un paio di settimane, ma era ancora chiusa nella scatola, protetta da una rete impalpabile, mentre la testina, supporto nei momenti di non utilizzo, era al buio nel ripostiglio. Non nascondo che all'inizio mi aveva fatto un po' impressione, indossata la prima volta mi sentivo in maschera, con impaccio e con un impiccio in testa. Mah, mi dissi, chissà se la sopporterò?! Comunque era necessario che guardandomi allo specchio mi piacessi per porgere agli altri un'immagine piacevole e serena di me. Era sdrammatizzare la malattia stessa e trasmettere un messaggio di speranza. Niente è impossibile se si trova la forza delle mille strategie per combattere e superare momenti di particolare difficoltà".
(continua...)

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