giovedì 30 dicembre 2010

"Domani vado in ospedale." "Ma cosa ci vai a fare! Invece di dimenticare..." Vado a fare una flebo di supporto per l'anima." Gli ho risposto così, perchè mi è venuto da dentro, perchè per me tornare dove ho pianto ma anche tanto riso per semplici battute, per il gusto di assaporare una serenità che credevo aver perso per sempre, significa prendere una boccata d'aria, sentirmi a mio agio dopo aver metabolizzato completamente tutto ciò che mi è capitato. Lui non mi può capire e come lui nessun altro che non abbia percorso la mia stessa strada. Torno lì e il ricordo ridiventa vivo e invece di sentire male provo tanta tenerezza per me ma non solo, per chi mi è stato vicino e con me ha sofferto, per chi mi ha curato e per coloro che da semplici comparse in una trama di dolore sono diventati coprotagonisti in una storia di speranza. Come Mara, che quella mattina aspettava di fare la flebo di supporto. L'avevo conosciuta durante il ricovero e mi aveva colpito per il volto sempre e solo sorridente e la grande forza. All'indomani dell'intervento di mastectomia bilaterale, non erano ancora ventiquattro ore, camminava lungo il corridoio del reparto parlando al cellulare con i suoi bambini, voleva far sentire loro la sua presenza sempre e comunque, minimizzando il problema e facendo coraggio a loro ma anche a se stessa. Mara aveva una lunga familiarità riguardo al tumore al seno, molte donne della sua famiglia ne erano state colpite, "Se riuscirò a salvarmi sarò la prima, e combatterò per esserlo a tutti i costi," così aveva detto e aveva fatto del sorriso la sua prima arma. Ed ora era lì, perchè dopo la prima chemio aveva vomitato più di venti volte in un giorno e non ce la faceva più, completamente svuotata, con il viso pallido e le mani gelate. Avevo parlato un po' con lei ed avevo preso ancora coraggio ritenendo di essere stata già molto fortunata. Mi sentivo carica anche se a tratti mi coglieva l'ansia ed intanto arrivava per me il momento del prelievo che precede l'infusione.

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