mercoledì 13 novembre 2019

DALL'AUTOSTIMA AL VOLONTARIATO... IL PASSO E' BREVE



Se una buona stima di sé porta in un certo periodo della vita a fare cose mai pensate prima, come ad esempio diventare volontario ospedaliero, è anche vero il contrario, per cui fare bene agli Altri diventa un toccasana per Chi dà e Chi riceve, a tutto beneficio dell'autostima di entrambi.
Stasera al gruppo GAMA ultimo incontro sull'autostima. Dopo la rapida lettura di un "compito a casa", alleggerito da un racconto per metafore, vivace è stato il confronto tra i presenti. Un evento traumatico cambia il corso di una vita, la segna in modo definitivo, e lo può fare in positivo o al negativo. Non c'è una percentuale netta, perché molte variabili entrano in gioco pur in presenza  dello stesso discriminante. Conta molto come ci si è vissuti prima della malattia. Una pregressa alta autostima potrebbe avere un brusco crollo al momento della diagnosi, come la scarsa stima di sé un forte scossone a causa del provvidenziale istinto di sopravvivenza. In quest'ultimo caso, dopo aver elaborato e metabolizzato l'"evento", è frequente la scelta del Volontariato.
Per essere volontari bisogna avere grande fiducia in se stessi, chiudere perciò con un eventuale passato di frustrazione e scarsa autostima, rivalutando il proprio valore, le capacità ed anche competenze inaspettate, come sensibilità, predisposizione all'ascolto e solidarietà.
E' infatti un rapporto profondo, di fiducia e intima sintonia, quello che si stabilisce tra volontario e paziente, soprattutto quando la malattia a volte fa sentire sospesi, tra ansie e dubbi, ad un filo, a parole mormorate sottovoce.
Il tumore non è una malattia come le altre, altrettanto gravi, e coloro che ne vengono colpiti sono di conseguenza malati diversi. Lo sconcerto che prende all'inizio, quando se ne viene a conoscenza, l'evoluzione diversa per ogni caso, la durezza delle terapie, il forte senso di precarietà fanno sì che si cerchi un rapporto che è qualcosa in più, la condivisione di ogni pensiero, timore, e quando c'è anche di gioia.
Un malato oncologico non vuole essere dimenticato, e d'altra parte si resta nei Suoi pensieri come un amico, una spalla su cui piangere, una mano da stringere per prendere forza e dimostrare gratitudine.
Ma come può essere accolto un "guaritore ferito" da un paziente in trattamento, e quanto bene farà il primo, se è davvero un bene, raccontare del Suo pregresso?
Certamente troverà buona considerazione, perché ben "informato" dei fatti e degli effetti e per questo consapevole, ed entrambi si troveranno a raccontarsi come soldati che hanno combattuto in trincea ma per guerre diverse. Ma quando palesarsi, all'inizio di un percorso o è più opportuno in seguito, o con Chi magari affronta una recidiva? Probabilmente dopo una diagnosi, un intervento si è troppo concentrati su se stessi per accogliere, accettare, e anche raccontare la propria storia. E c'è pure il rischio che ogni parola sia pure in buona fede, passi per banalità scontata e irritante. 
Il compito di Chi approccia al volontariato oncologico, abbia vissuto la malattia o meno, è davvero difficile e richiede grande abilità nel gestire le emozioni. Il Volontario quindi a giusta ragione, può definirsi "professionista della sensibilità e delle emozioni".

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