lunedì 14 gennaio 2019

NEL MASSIMO DELLA DEBOLEZZA


Ero bambina, non più di dieci anni quando vinsi un concorso con una traccia il cui svolgimento fu giudicato "consapevole, maturo, di certo superiore alla media dell'età".
"Se possedessi un milione di lire, come lo spenderesti?"
Educata a non pretendere più di tanto, ad accontentarmi del poco, non pensai a gocattoli, vestiti, a cose insomma che di solito sognano le bambine, non ebbi esitazione o incertezze, e cominciai...
Se possedessi un milione, farei costruire una casa per gli anziani...
E poi continuavo descrivendo come l'avrei voluta, mi soffermai con minuzia sui particolari... ampie camere, parco immenso e rigoglioso, finestroni che lasciassero entrare luce, tanta luce... e calore, ché quando si è anziani di questo c'è bisogno, di calore...
Oggi ci sono stata in una casa per anziani, per meglio dire una struttura che accoglie, provvede alle necessità primarie ed essenziali, ma non saprei dire se con i presupposti di "prendersi cura" di Chi vive i ricordi più antichi ma scorda gli anni che ha. Perfetta, uguale a come l'avevo immaginata da bambina, e ancora meglio agli occhi dell'età attuale, con qualcosa però che me ne faceva prendere le distanze, forse quella vasta "fascia d'umanità" che lì risiede e avrei voluto stringere tutta a me.
Era la celebrazione di un rito funebre nel raccoglimento di una cappellina, occupata per metà dagli inquilini della casa. Giravo gli occhi intorno, ho prestato ascolto alle letture accompagnate da "ritornelli" patologici, cadenzati e ripetuti. Impossibile aggirare certe riflessioni, non provare la netta sensazione di confortarsi con un abbraccio anche da soli, le proprie braccia strette a sé.
Poi, durante l'omelia le parole più belle e significative, un raggio di sole per uno squarcio d'azzurro. Il Cristo che "sposa" l'umanità e assicura nel massimo della debolezza la mano giusta che risolleva. Speranza del presente, certezza per l'eternità.

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