domenica 17 ottobre 2010

Qualche tempo prima di trasferirci nel " nostro " nuovo reparto, durante una delle frequenti chiacchierate, il dottor Antonio disse che avrebbe voluto esporre un cartello con un testo, che io avrei chiamato più propriamente meditazione,ma che poi, per rispetto della sensibilità altrui, non lo aveva fatto più. Riteneva, infatti che non tutti sarebbero stati in grado di capirne il bellissimo e profondo signficato in quanto tra l'altro si parlava di morte. Me lo aveva fatto leggere ed io lo avevo trovato stupendo. Riporto questo testo per condividerne l'essenza e le conseguenti emozioni: " ...vi sono qualità al di là della pura competenza medica,delle quali questi pazienti hanno bisogno e che cercano nei loro medici. Dal medico essi vogliono essere rassicurati, considerati e non solo esaminati. Vogliono essere ascoltati. Vogliono percepire che vi è una grande differenza, invero, per il medico,se essi vivono o muoiono. Vogliono sentire di essere nei pensieri del loro medico " ( Cusin 1982 )
Il tumore non è una malattia come le altre, altrettanto gravi, e coloro che ne vengono colpiti sono di conseguenza malati diversi. Lo sconcerto che prende all'inizio, quando se ne viene a conoscenza, l'evoluzione diversa per ogni caso, la durezza delle terapie, il forte senso di precarietà che accompagna per il resto della vita, fanno sì che si stabilisca con il proprio medico un rapporto che è più di fiducia, è una sorta di condivisione di ogni pensiero, timore, e quando c'è anche di gioia. Non si vuole essere dimenticati, comunque vada a finire la cosa, e d'altra parte anche il medico stesso resta nei loro pensieri come un amico, una spalla su cui piangere, una mano da stringere per prendere forza e dimostrare gratitudine. Sono emozioni molto forti, difficili da spiegare che non si possono condividere in differita ma vanno comunicate in tempo reale perchè non perdano vigore. Ed io ho voluto esternare tutto questo in un momento che avrebbe dovuto essere di pura gioia e in effetti lo era, ma che comunque restava velato da un senso di smarrimento e disorientamento simile a quello che prende a un bambino che muove i primi passi sorretto, e all'improvviso si vede costretto a camminare da solo.

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