venerdì 10 giugno 2011

Con il caldo di questi giorni mi chiedo come ho fatto l'anno scorso a "passare" l'estate bardata come un palombaro. Eppure, con lo scafandro (leggi: parrucca) in testa, fascia, imbottiture e tubicini sul torace, e "accollata" fino all'inverosimile, non sudavo e non sentivo neanche il caldo. Colpa o merito della chemio? Mah! La risposta è opinabile, anche in questo caso dipende dal solito bicchiere: mezzo vuoto o mezzo pieno? Per me sempre e solo mezzo pieno, quindi... Grazie a quell'estate anomala tutti gli inconvenienti, gli intoppi post operatori furono vissuti per se stessi senza l'aggiunta di altri comuni disagi contingenti, e superati con la forza di volontà e sopportazione. Ed oggi posso dire, senza ombra di presunzione, che di forza ne ho avuta e anche tanta, e tutta a 360°. E per rientrare nell'argomento posso tornare a quel sabato sera, in pizzeria, con l'amore della mia vita. Ero contenta, piano piano stavo riprendendo in mano le redini della mia vita, qualche altro giorno e avrei tolto definitivamente il drenaggio, la mia "mammellina" sarebbe stata gonfiata un altro po', e tutto sarebbe andato sempre meglio. Sì, ne ero sicura! Ma... evidentemente non bisogna mai cantar vittoria troppo presto se nel bel mezzo di questa sensazione di sicurezza  provai all'improvviso una fitta lancinante al fianco, proprio lì, sotto la bustina acquario. Forse, pensai, mangiando sono stata troppo piegata. Mi raddrizzai, ma una seconda più forte ed acuta mi arrivò lasciando sul mio viso una smorfia di dolore misto a disgusto. " La pizza ha un brutto sapore?" Mio marito, quella smorfia l'aveva interpretata così. "No, è che... non so, sento pungere a più riprese qui, vicino al drenaggio". Diritta o leggermente china in avanti non riuscivo a star seduta, terminammo in fretta di mangiare e uscimmo dalla pizzeria. Ero dolente, non c'è che dire, forse anche qualcosa in più se ad ogni passo corrispondeva una fitta di intensità diversa  a seconda della sua lunghezza. Finalmente arrivammo là dove era posteggiata l'auto; entrai e mi lasciai andare sul sedile dopo un'altra, ennesima fitta.

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