martedì 16 novembre 2010

Per il resto del giorno mostrai una calma apparente. Mi vergognavo come una ladra e così alla tensione avevo aggiunto anche il senso di colpa per aver scatenato un putiferio e  guastato la festa a tutti. Dio, ma perchè non avevo seguito il mio istinto quella mattina e non ero rimasta a casa? Parlai poco e niente anche sulla strada del ritorno; mio marito che ben mi conosce, sapeva che era molto meglio non aprire alcun argomento o, peggio ancora, farmi domande sull'argomento del giorno: tutto il malumore, allora, si sarebbe scaricato su di lui.
Giunta a casa Valeria mi chiese di quella giornata e inevitabilmente tutto ciò che avevo nel cuore venne fuori con rabbia e dolore. Non ce l'avevo con nessuno e ce l'avevo con tutti, anche con me stessa perchè non riuscivo nonostante lo sforzo immane, a vincere la paura, perchè di paura si trattava: paura del dolore fisico, paura di restare senza capelli, paura di non farcela. Inveii a parole contro i miei familiari che cercavano di confortarmi ridimensionando ogni mio timore. Eh già, tanto ero io che dovevo affrontare tutto mentre per loro era facile limitarsi a guardare; questo era il mio pensiero e glielo vomitavo addosso con crudeltà, incurante di quanto potesse esser grande anche la loro sofferenza. Piangendo andai in camera da letto e di nuovo come qualche giorno prima, svuotai l'armadio e  gettai con foga  maglie , gonne e pantaloni sul letto, poi, asciugate le lacrime, rimisi tutto a posto con calma. S'era fatto ormai tardi, si concludeva una delle giornate più brutte; mi preparai una camomilla e mi misi a letto,credendo che avrei stentato a prender sonno. Chissà come sarebbe andata l'indomani, a quella stessa ora come mi sarei sentita!? Piano piano gli occhi già appesantiti dalle tante lacrime, tendevano a chiudersi, mi addormentai pensando che comunque ogni cosa sarebbe passata lasciandomi un'esperienza in più per continuare a... vivere.

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