Sono i fiori di cactus i più belli, perché imprevedibili spuntando all'improvviso tra le spine, e duraturi non si sa come, visto che necessitano di poche cure. Fiore di cactus senza profumo perché lo si possa immaginare e diventare così il fiore di ognuno.
Oggi... un "mio" mercoledì, trascorso in casa quasi da sola, troppo caldo per uscire e abbastanza per ricordare quella benedetta estate di sette anni fa. Non so Voi, ma io quando comincio a ricordare lo faccio per immagini, non scene ma veri e propri scatti fotografici di oggetti, piccoli e grandi, che mi riportano a quella parte di vissuto. La parrucca, la fascia sull'espansore, l'ustione da contatto, le polo di tutti colori... e in questo modo poi, dal particolare all'universale, che in questo caso è il senso profondo di vuoto e solitudine che accomuna tutte quelle persone che in un periodo dell'anno di solito atto alla spensieratezza e al diverimento, si trovano invece a vivere qualcosa non per scelta e subire terapie noiose e limitanti.
Il "particolare"mio personale mi fa tenerezza come non mi appartenesse perché di fatto sono oggetti che non uso e situazioni che non vivo più sulla mia pelle, l'"universale" al contrario lo sento mio perché lo vivo a pelle, dentro, coi pensieri e i sentimenti.
Se non fossi io a parlare di me, probabilmente la definizione giusta per la mia persona sarebbe... una specie di masochista, o anche una che si esibisce entro uno scenario di continua sofferenza e nello stesso tempo espia qualche colpa inconscia. Di queste azzardate opinioni sono consapevole e ogni tanto da sola mi sottopongo a verifica. Sono così come si potrebbe sembrare o... cosa?
E' che si elabora, si metabolizza, si supera pure ma non si dimentica, e allora quei momenti di solitudine, quando presa dai pensieri e dalla paura le lacrime salivano su e nessuno c'era ad asciugarle o trasformarle in timidi sorrisi, con prepotenza come appartenessero di nuovo si ripresentano in quelle storie che empaticamente si cerca di sostenere, e non si può... io non posso tirarmi indietro e ci resto dentro, con lucido distacco ma con tutte le scarpe, sperando di non affondare come nelle sabbie mobili. Perché tutto sommato non sono così grande e forte come si crede.
Sono piena di spine e dolori, a tratti pure inaridita perché mi basta quel che serve, ma per quel poco che faccio ogni tanto nasce un fiore. Non è mio vanto bensì lode per Colui che lo vuole.
Oggi... un "mio" mercoledì, trascorso in casa quasi da sola, troppo caldo per uscire e abbastanza per ricordare quella benedetta estate di sette anni fa. Non so Voi, ma io quando comincio a ricordare lo faccio per immagini, non scene ma veri e propri scatti fotografici di oggetti, piccoli e grandi, che mi riportano a quella parte di vissuto. La parrucca, la fascia sull'espansore, l'ustione da contatto, le polo di tutti colori... e in questo modo poi, dal particolare all'universale, che in questo caso è il senso profondo di vuoto e solitudine che accomuna tutte quelle persone che in un periodo dell'anno di solito atto alla spensieratezza e al diverimento, si trovano invece a vivere qualcosa non per scelta e subire terapie noiose e limitanti.
Il "particolare"mio personale mi fa tenerezza come non mi appartenesse perché di fatto sono oggetti che non uso e situazioni che non vivo più sulla mia pelle, l'"universale" al contrario lo sento mio perché lo vivo a pelle, dentro, coi pensieri e i sentimenti.
Se non fossi io a parlare di me, probabilmente la definizione giusta per la mia persona sarebbe... una specie di masochista, o anche una che si esibisce entro uno scenario di continua sofferenza e nello stesso tempo espia qualche colpa inconscia. Di queste azzardate opinioni sono consapevole e ogni tanto da sola mi sottopongo a verifica. Sono così come si potrebbe sembrare o... cosa?
E' che si elabora, si metabolizza, si supera pure ma non si dimentica, e allora quei momenti di solitudine, quando presa dai pensieri e dalla paura le lacrime salivano su e nessuno c'era ad asciugarle o trasformarle in timidi sorrisi, con prepotenza come appartenessero di nuovo si ripresentano in quelle storie che empaticamente si cerca di sostenere, e non si può... io non posso tirarmi indietro e ci resto dentro, con lucido distacco ma con tutte le scarpe, sperando di non affondare come nelle sabbie mobili. Perché tutto sommato non sono così grande e forte come si crede.
Sono piena di spine e dolori, a tratti pure inaridita perché mi basta quel che serve, ma per quel poco che faccio ogni tanto nasce un fiore. Non è mio vanto bensì lode per Colui che lo vuole.
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