L'Empatia in realtà fa parte della natura umana, si può essere più o meno empatici, comunque è una capacità che si può sviluppare ed allenare. Anche se è innata può essere influenzata dal Nostro stato d'animo, dai pregiudizi, da percezioni ed esperienze. Non equivale alla simpatia, e prima di tentare un qualsiasi approccio empatico bisognerebbe spogliarsi del proprio "bagaglio" per poter poi sobbarcarsi di una parte di quello altrui.
Quindi si presenta un doppio aspetto, quello cognitivo e poi emotivo.
Quando intendiamo porgere Noi stessi all'Altro col meritevole intento di aiutarlo, prima di esprimere comprensione o compassione dobbiamo osservare e interpretare accuratamente la situazione che gli Altri stanno vivendo. Capirne il vissuto, valutare le esigenze ed aspettative, decidere le azioni migliori per loro. Alla fine mostrare comprensione e compassione nel modo più appropriato.
A volte però può capitare che l'aiuto non venga percepito come tale. Per lo più il gesto di attenzione viene visto come risposta ad un bisogno, ma può essere pure interpretato come un tentativo di strumentalizzazione, minaccia alla propria autostima, un voler evidenziare una condizione di inferiorità per cui essere poi costretti a ricambiare.
Non è realmente possibile cogliere i sentimenti sottili e complessi delle persone se non tramite una "conoscenza emotiva", che può avvenire con l'osservazione distaccata ed oggettiva oppure con particolare coinvolgimento. Ma attenzione! Quest'ultimo mette a rischio il senso di identità che assolutamente deve restare ben saldo.
L'Empatia perciò si muove in circolo... contagio emotivo, ok. Ma per evitare un eccessivo distanziamento difensivo occorre lucidità, quindi differenziare e mediare il rapporto.
Condizione indispensabile è anche "saper ascoltare", e non solo le parole ma pure i silenzi, soprattutto quelli percepiti a distanza. E... ascoltiamo veramente?
Nella maggior parte dei casi non ascoltiamo con l'intenzione di capire ma con l'intenzione di rispondere, rischiando così di perdere le sfumature. Cerchiamo di farci capire e poi di capire l'Altro, ponendoci anche solo per un momento al centro del rapporto. In pratica filtriamo qualsiasi cosa attraverso i Nostri paradigmi, leggendo la Nostra autobiografia nella vita degli Altri, cosa questa del tutto naturale e non dannosa purché ce ne sia la consapevolezza.
L'ingrediente fondamentale dell'ascolto è la Presenza silenziosa. Ascoltare e accettare se stessi per ascoltare l'Altro, perciò conoscere ed essere consapevoli delle proprie difficoltà, altrimenti il problema dell'interlocutore si somma al Nostro e prende il sopravvento.
Essere attenti verso l'Altro, pronti all'eventualità dell'imprevisto, accettando e non criticando atteggiamenti ed opinioni, mostrarsi sempre interessati e questo guardando sempre negli occhi che restano lo specchio dell'animo.
Spesso al ruolo del volontario non si dà il giusto merito, invece è una figura importante che prende il posto del medico per quanto riguarda l'ascolto e l'accoglienza dei bisogni di un paziente.
Quel giorno che varchiamo la "soglia", cerchiamo un volto, un appiglio. Inconsciamente scegliamo un Angelo custode. E magari capiterà il meno adatto, ma per Noi sarà sempre e solo l'unico. Semplicemente perché il primo. Non è facile però essere compresi, spesso l'instabile e difficile situazione emotiva del singolo va a scontrarsi con la realtà quotidiana di Chi "opera" e deve, per poter continuare, mantenere un certo distacco, evitare il proprio coinvolgimento emotivo. Difendersi per non crollare. Mentre a Noi improvvisamente risulterà indifferente e menefreghista.
Ovvero... disillusione.
"... quando ci imbattiamo in un medico che ha umanità, consapevolezza di sé e di noi... che riesce a rappresentare se stesso e noi in una reciproca relazione... tutto diventa più leggero e la speranza si riaccende, perché sentiamo che esistiamo per l'altro, la nostra vita non gli è indifferente. Ci sentiamo contenuti e protetti, e naturalmente di questo abbiamo bisogno, perché la malattia ci rende fragili..."
(Marta Tibaldi, "Oltre il cancro")
Quindi si presenta un doppio aspetto, quello cognitivo e poi emotivo.
Quando intendiamo porgere Noi stessi all'Altro col meritevole intento di aiutarlo, prima di esprimere comprensione o compassione dobbiamo osservare e interpretare accuratamente la situazione che gli Altri stanno vivendo. Capirne il vissuto, valutare le esigenze ed aspettative, decidere le azioni migliori per loro. Alla fine mostrare comprensione e compassione nel modo più appropriato.
A volte però può capitare che l'aiuto non venga percepito come tale. Per lo più il gesto di attenzione viene visto come risposta ad un bisogno, ma può essere pure interpretato come un tentativo di strumentalizzazione, minaccia alla propria autostima, un voler evidenziare una condizione di inferiorità per cui essere poi costretti a ricambiare.
Non è realmente possibile cogliere i sentimenti sottili e complessi delle persone se non tramite una "conoscenza emotiva", che può avvenire con l'osservazione distaccata ed oggettiva oppure con particolare coinvolgimento. Ma attenzione! Quest'ultimo mette a rischio il senso di identità che assolutamente deve restare ben saldo.
L'Empatia perciò si muove in circolo... contagio emotivo, ok. Ma per evitare un eccessivo distanziamento difensivo occorre lucidità, quindi differenziare e mediare il rapporto.
Condizione indispensabile è anche "saper ascoltare", e non solo le parole ma pure i silenzi, soprattutto quelli percepiti a distanza. E... ascoltiamo veramente?
Nella maggior parte dei casi non ascoltiamo con l'intenzione di capire ma con l'intenzione di rispondere, rischiando così di perdere le sfumature. Cerchiamo di farci capire e poi di capire l'Altro, ponendoci anche solo per un momento al centro del rapporto. In pratica filtriamo qualsiasi cosa attraverso i Nostri paradigmi, leggendo la Nostra autobiografia nella vita degli Altri, cosa questa del tutto naturale e non dannosa purché ce ne sia la consapevolezza.
L'ingrediente fondamentale dell'ascolto è la Presenza silenziosa. Ascoltare e accettare se stessi per ascoltare l'Altro, perciò conoscere ed essere consapevoli delle proprie difficoltà, altrimenti il problema dell'interlocutore si somma al Nostro e prende il sopravvento.
Essere attenti verso l'Altro, pronti all'eventualità dell'imprevisto, accettando e non criticando atteggiamenti ed opinioni, mostrarsi sempre interessati e questo guardando sempre negli occhi che restano lo specchio dell'animo.
Spesso al ruolo del volontario non si dà il giusto merito, invece è una figura importante che prende il posto del medico per quanto riguarda l'ascolto e l'accoglienza dei bisogni di un paziente.
Quel giorno che varchiamo la "soglia", cerchiamo un volto, un appiglio. Inconsciamente scegliamo un Angelo custode. E magari capiterà il meno adatto, ma per Noi sarà sempre e solo l'unico. Semplicemente perché il primo. Non è facile però essere compresi, spesso l'instabile e difficile situazione emotiva del singolo va a scontrarsi con la realtà quotidiana di Chi "opera" e deve, per poter continuare, mantenere un certo distacco, evitare il proprio coinvolgimento emotivo. Difendersi per non crollare. Mentre a Noi improvvisamente risulterà indifferente e menefreghista.
Ovvero... disillusione.
"... quando ci imbattiamo in un medico che ha umanità, consapevolezza di sé e di noi... che riesce a rappresentare se stesso e noi in una reciproca relazione... tutto diventa più leggero e la speranza si riaccende, perché sentiamo che esistiamo per l'altro, la nostra vita non gli è indifferente. Ci sentiamo contenuti e protetti, e naturalmente di questo abbiamo bisogno, perché la malattia ci rende fragili..."
(Marta Tibaldi, "Oltre il cancro")
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