Quarto appuntamento con il corso per volontari. Approfondimento degli aspetti psicologici del paziente e della famiglia.
Confrontarsi con la sofferenza è dura cosa per ogni medico, lo è a tutti i livelli e per ogni tipo di patologia, ma è chiaro che lo è ancora di più per una malattia che nel terzo millennio ancora terrorizza. Il cancro fa paura per la durata, le cure, ma soprattutto per l'esito incerto.
Già il medico di famiglia che sempre più spesso è colui che avanza l'ipotesi di una diagnosi drammatica, deve fare i conti con la comunicazione personalizzata, e le giuste modalità che considerino la diversità individuale. Seguire la "persona" e non solo curare il "malato". Si tratta di trasmettere notizie che alterano drammaticamente e negativamente le prospettive future, quindi necessitano di un luogo adeguato e un clima di accoglienza e protezione. Che non ci si senta improvvisamente "stigmatizzati", e per questo avulsi dalla realtà di sempre e catapultati in un'altra che appare "non propria". Si potrà valutare il grado di impatto della malattia su di un paziente solo se la si inserisce nel contesto della sua vita. Bisognerà entrare nell'animo e nella psiche di Chi è di fronte a rapportarsi con qualcosa che non avrebbe mai pensato, in punta di piedi, cercando di capire quanto di quella situazione egli sia in grado di comprendere, e quale sia lo stile di parole. Poi vorrà davvero essere informato di tutto, compresi i dettagli? O solo di una parte... o addirittura nulla? Comunque un referente dovrà pure esserci.
L'approccio con la malattia è sempre traumatico, tendenzialmente offusca la lucidità, in un attimo è come se ci si trovasse davanti un grosso tronco o una frana, che impedisce il proseguimento del percorso abituale. A questo punto il medico cercherà di riportare l'equilibrio identificando le risposte del paziente. Ma... mi chiedo, ed è un'opinione del tutto personale... è opportuno che sia Lui, il medico a fare tante domande riguardanti lo stato d'animo del momento, aspettando e valutando le risposte, o non sarebbe meglio che ascoltasse, osservasse l'inevitabile reazione, cercando di leggere tra le righe?...
(continua...)
Confrontarsi con la sofferenza è dura cosa per ogni medico, lo è a tutti i livelli e per ogni tipo di patologia, ma è chiaro che lo è ancora di più per una malattia che nel terzo millennio ancora terrorizza. Il cancro fa paura per la durata, le cure, ma soprattutto per l'esito incerto.
Già il medico di famiglia che sempre più spesso è colui che avanza l'ipotesi di una diagnosi drammatica, deve fare i conti con la comunicazione personalizzata, e le giuste modalità che considerino la diversità individuale. Seguire la "persona" e non solo curare il "malato". Si tratta di trasmettere notizie che alterano drammaticamente e negativamente le prospettive future, quindi necessitano di un luogo adeguato e un clima di accoglienza e protezione. Che non ci si senta improvvisamente "stigmatizzati", e per questo avulsi dalla realtà di sempre e catapultati in un'altra che appare "non propria". Si potrà valutare il grado di impatto della malattia su di un paziente solo se la si inserisce nel contesto della sua vita. Bisognerà entrare nell'animo e nella psiche di Chi è di fronte a rapportarsi con qualcosa che non avrebbe mai pensato, in punta di piedi, cercando di capire quanto di quella situazione egli sia in grado di comprendere, e quale sia lo stile di parole. Poi vorrà davvero essere informato di tutto, compresi i dettagli? O solo di una parte... o addirittura nulla? Comunque un referente dovrà pure esserci.
L'approccio con la malattia è sempre traumatico, tendenzialmente offusca la lucidità, in un attimo è come se ci si trovasse davanti un grosso tronco o una frana, che impedisce il proseguimento del percorso abituale. A questo punto il medico cercherà di riportare l'equilibrio identificando le risposte del paziente. Ma... mi chiedo, ed è un'opinione del tutto personale... è opportuno che sia Lui, il medico a fare tante domande riguardanti lo stato d'animo del momento, aspettando e valutando le risposte, o non sarebbe meglio che ascoltasse, osservasse l'inevitabile reazione, cercando di leggere tra le righe?...
(continua...)
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