Non è sempre facile iniziare a parlare di sé, soprattutto quando si toccano corde così dolorose. Io l'ho fatto spesso e continuo, in un certo senso sono sempre in esercizio, però ogni volta mi emoziona.
Sono trascorsi sette anni ormai dalla diagnosi, e la mia storia sono in molti a conoscerla. Se vogliamo riassumerla per sommi capi... carcinoma mammario infiltrante con adenopatia omolaterale, ormono responsivo. Ometto volutamente le varie sigle, che in questa sede e dopo tanto tempo lasciano il tempo che trovano, sottolineo però il variare delle emozioni legato alla logica instabilità emotiva, causata dallo shock iniziale. Mi ripresi però subito, decisa e determinata a cavarmela comunque almeno salvando faccia e dignità.
Questo potrebbe sembrare un espediente letterario, un discorso preparato a tavolino, in realtà... diciamo, alla mia malattia ero arrivata "preparata". Parecchi anni prima mio marito ed io c'eravamo trovati ad affrontare e vivere le malattie di entrambi i suoi genitori, prima della mamma e poi del papà. Per motivi logistici e familiari fui io da sola nella quotidianità ad essere loro accanto.
Quindi prima ancora di essere paziente oncologica sono stata caregiver, anche tra molte difficoltà. Oggi si parla di rete di associazioni, assistenza domiciliare, solidarietà... allora bisognava organizzarsi da sé, dalle questioni pratiche al supporto psicologico "fai da te", che con un minimo di sensibilità, e una lucidità resistente ai vari colpi riservati dalla malattia, poteva pure funzionare. Doveva funzionare.
Noi con un po' di fortuna e tanta buona volontà ci organizzammo. La vicina di casa, infermiera dell'Asl, provvedeva nelle emergenze e per i prelievi, tramite conoscenze trovammo un medico chirurgo per le medicazioni importanti, infine un infermiere per il turno notturno, quest'ultimo ad un costo molto elevato. Alla preparazione dei pasti, faccende e compagnia provvedevo personalmente. Con loro c'ero io e i Nostri figli, bambini e poi adolescenti.
Di quel periodo ho un chiaro ricordo. All'inizio ero spaventata da un'impresa per cui non mi sentivo all'altezza, poi... sarà stato per una sorta di istinto di sopravvivenza... presi a chiedermi, se fossi stata io ad essere l'ammalata... che cosa avrei voluto vedere, o meglio notare, ascoltare... pensare?
E arrivarono spontanee le risposte. Avrei voluto vedere volti sorridenti, notare la serenità che sollevasse dall'ansia, ascoltare discorsi normali che non riguardassero sempre la malattia. Pensare a domani, quello immediato, il giorno dopo insomma. Piccoli progetti disegnati dalla speranza di farcela.
E così ce la facemmo, un piccolo team per superare un momento di grande difficoltà.
Quando in seguito toccò a me, ricordai tutto ciò, e prendendo le distanze dalla malattia, decisi di prendermi cura di me come fossi un'altra da me. E funzionò. E se sono qui a raccontarlo in tale modo, direi pure... bene, alla grande.
Sono trascorsi sette anni ormai dalla diagnosi, e la mia storia sono in molti a conoscerla. Se vogliamo riassumerla per sommi capi... carcinoma mammario infiltrante con adenopatia omolaterale, ormono responsivo. Ometto volutamente le varie sigle, che in questa sede e dopo tanto tempo lasciano il tempo che trovano, sottolineo però il variare delle emozioni legato alla logica instabilità emotiva, causata dallo shock iniziale. Mi ripresi però subito, decisa e determinata a cavarmela comunque almeno salvando faccia e dignità.
Questo potrebbe sembrare un espediente letterario, un discorso preparato a tavolino, in realtà... diciamo, alla mia malattia ero arrivata "preparata". Parecchi anni prima mio marito ed io c'eravamo trovati ad affrontare e vivere le malattie di entrambi i suoi genitori, prima della mamma e poi del papà. Per motivi logistici e familiari fui io da sola nella quotidianità ad essere loro accanto.
Quindi prima ancora di essere paziente oncologica sono stata caregiver, anche tra molte difficoltà. Oggi si parla di rete di associazioni, assistenza domiciliare, solidarietà... allora bisognava organizzarsi da sé, dalle questioni pratiche al supporto psicologico "fai da te", che con un minimo di sensibilità, e una lucidità resistente ai vari colpi riservati dalla malattia, poteva pure funzionare. Doveva funzionare.
Noi con un po' di fortuna e tanta buona volontà ci organizzammo. La vicina di casa, infermiera dell'Asl, provvedeva nelle emergenze e per i prelievi, tramite conoscenze trovammo un medico chirurgo per le medicazioni importanti, infine un infermiere per il turno notturno, quest'ultimo ad un costo molto elevato. Alla preparazione dei pasti, faccende e compagnia provvedevo personalmente. Con loro c'ero io e i Nostri figli, bambini e poi adolescenti.
Di quel periodo ho un chiaro ricordo. All'inizio ero spaventata da un'impresa per cui non mi sentivo all'altezza, poi... sarà stato per una sorta di istinto di sopravvivenza... presi a chiedermi, se fossi stata io ad essere l'ammalata... che cosa avrei voluto vedere, o meglio notare, ascoltare... pensare?
E arrivarono spontanee le risposte. Avrei voluto vedere volti sorridenti, notare la serenità che sollevasse dall'ansia, ascoltare discorsi normali che non riguardassero sempre la malattia. Pensare a domani, quello immediato, il giorno dopo insomma. Piccoli progetti disegnati dalla speranza di farcela.
E così ce la facemmo, un piccolo team per superare un momento di grande difficoltà.
Quando in seguito toccò a me, ricordai tutto ciò, e prendendo le distanze dalla malattia, decisi di prendermi cura di me come fossi un'altra da me. E funzionò. E se sono qui a raccontarlo in tale modo, direi pure... bene, alla grande.
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