Per me è stata una "giornata forte" per molti motivi. Aver partecipato alla celebrazione religiosa nella piccola chiesa dell'ospedale in occasione della XXV giornata mondiale del Malato, è stranamente coinciso con altri fatti, incontri, considerazioni. Tante emozioni contrastanti, nella piccola chiesa e poi su e giù per le scale a respirare la "vita vera", quella che annulla inezie e falsità e di contro pone in risalto l'essenza umana e la "sofferenza innocente".
Come sempre siamo stati onorati dalla presenza del Nostro Arcivescovo, persona semplice e affabile, che al solito ha lasciato il segno con le Sue parole.
"Ho avuto la vocazione di fare il prete, non quella di vescovo. Forse non lo so fare, e mi commuovo spesso. Ma piangere non è farsi torto, non bisogna vergognarsi. Tutto ciò che appartiene all'uomo è santo perché dono di Dio, anche le lacrime lo sono. E tutto sommato esprimono una richiesta di aiuto a Chi ci ama, per essere sollevati dalla sofferenza, alle persone che sono accanto e, più di Tutti, a Dio..."
Il Vescovo, prima di scendere in Chiesa, passando dal reparto di rianimazione aveva notato tre bambini, e ne era rimasto profondamente colpito, e poi in pediatria aveva incontrato una bimba di colore coi suoi genitori che a modo loro pregavano per la guarigione della piccola. Una preghiera che era pure inno di lode... alleluia. Come non commuoversi...?
Poi è stato con l'omelia che è arrivato ai cuori.
Il Vangelo era quello di Marco, la guarigione del sordomuto.
Il sordomuto è condotto a Gesù da altri e sono questi a pregare per lui. E già può dirsi sanato, perché è in quell'incontro col Signore che inizia la salvezza.
Quanto è importante che ognuno di noi si faccia carico dei bisogni altrui e diventi la mano che conduce e asciuga il pianto, e la voce che implora.
Gesù non opera miracoli-spettacolo, per questo prende il sordomuto da parte, lontano dalla folla, e realizza la difficile mediazione fra la discrezione e l’offerta di un aiuto efficace. Lui agisce con "delicatezza", modella con la sapiente "manualità del vasaio", come tornasse a creare.
E dice: «Effatà», cioè «Àpriti». Una parola, che è segno per la guarigione fisica, ma, ancora di più, operazione di grazia. Come il gesto leggero di toccare gli orecchi con un po’ di saliva è simbolicamente visto come mezzo di unione tra "corporeità" e spirito.
Il sordomuto guarito dal Cristo sente le sue dita di carne toccargli le orecchie e la lingua. Ma quando la sua lingua si scioglie e le sue orecchie si aprono, attraverso quelle dita accessibili ai suoi sensi, egli raggiunge la divinità inaccessibile.
E' la pienezza di una relazione, vissuta con grande rispetto, senza compatimento. Questo ci ricorda che ogni malato è e rimane sempre un essere umano, e come tale va trattato. Gli infermi hanno la loro inalienabile dignità e la loro missione nella vita e non diventano mai dei meri oggetti, anche se a volte possono sembrare solo passivi, ma in realtà non è mai così.
Effatà...aprirsi non solo con l'udito e la parola, ma soprattutto con il Cuore. Ascolto e preghiera sono fondamentali come modalità di aiuto all'Altro, ma non bastano. Non è la preghiera formale a fare la differenza. E' lo sporcarsi le mani, immergendosi nel dolore... questo è aprire il Cuore
Pure trasformare la propria fragilità in sostegno per gli altri, grazie all’amore diventa capacità di arricchire se stessi e il prossimo.
Credere in "qualcosa", affidarsi a "qualcuno"... fiduciosamente "accogliersi" in se stessi.
L'aver fatto silenzio nell'animo alla ricerca di reconditi significati nonché risorse insperate, porta ad una grande crescita intellettuale e spirituale e ben presto tutto ciò che era bastato e persino avanzato... non soddisfa più.
Si cerca sempre e altrove, e poi come me... si può tentare l'azzardo... diventare "guaritore ferito".
In altri termini, persona informata dei fatti che si forma ancora strada facendo, quella stessa che fu la sua e poi ripercorre "tenendo per mano" . Magari provando già su questa terra la gioia del Paradiso.
Come sempre siamo stati onorati dalla presenza del Nostro Arcivescovo, persona semplice e affabile, che al solito ha lasciato il segno con le Sue parole.
"Ho avuto la vocazione di fare il prete, non quella di vescovo. Forse non lo so fare, e mi commuovo spesso. Ma piangere non è farsi torto, non bisogna vergognarsi. Tutto ciò che appartiene all'uomo è santo perché dono di Dio, anche le lacrime lo sono. E tutto sommato esprimono una richiesta di aiuto a Chi ci ama, per essere sollevati dalla sofferenza, alle persone che sono accanto e, più di Tutti, a Dio..."
Il Vescovo, prima di scendere in Chiesa, passando dal reparto di rianimazione aveva notato tre bambini, e ne era rimasto profondamente colpito, e poi in pediatria aveva incontrato una bimba di colore coi suoi genitori che a modo loro pregavano per la guarigione della piccola. Una preghiera che era pure inno di lode... alleluia. Come non commuoversi...?
Poi è stato con l'omelia che è arrivato ai cuori.
Il Vangelo era quello di Marco, la guarigione del sordomuto.
Il sordomuto è condotto a Gesù da altri e sono questi a pregare per lui. E già può dirsi sanato, perché è in quell'incontro col Signore che inizia la salvezza.
Quanto è importante che ognuno di noi si faccia carico dei bisogni altrui e diventi la mano che conduce e asciuga il pianto, e la voce che implora.
Gesù non opera miracoli-spettacolo, per questo prende il sordomuto da parte, lontano dalla folla, e realizza la difficile mediazione fra la discrezione e l’offerta di un aiuto efficace. Lui agisce con "delicatezza", modella con la sapiente "manualità del vasaio", come tornasse a creare.
E dice: «Effatà», cioè «Àpriti». Una parola, che è segno per la guarigione fisica, ma, ancora di più, operazione di grazia. Come il gesto leggero di toccare gli orecchi con un po’ di saliva è simbolicamente visto come mezzo di unione tra "corporeità" e spirito.
Il sordomuto guarito dal Cristo sente le sue dita di carne toccargli le orecchie e la lingua. Ma quando la sua lingua si scioglie e le sue orecchie si aprono, attraverso quelle dita accessibili ai suoi sensi, egli raggiunge la divinità inaccessibile.
E' la pienezza di una relazione, vissuta con grande rispetto, senza compatimento. Questo ci ricorda che ogni malato è e rimane sempre un essere umano, e come tale va trattato. Gli infermi hanno la loro inalienabile dignità e la loro missione nella vita e non diventano mai dei meri oggetti, anche se a volte possono sembrare solo passivi, ma in realtà non è mai così.
Effatà...aprirsi non solo con l'udito e la parola, ma soprattutto con il Cuore. Ascolto e preghiera sono fondamentali come modalità di aiuto all'Altro, ma non bastano. Non è la preghiera formale a fare la differenza. E' lo sporcarsi le mani, immergendosi nel dolore... questo è aprire il Cuore
Pure trasformare la propria fragilità in sostegno per gli altri, grazie all’amore diventa capacità di arricchire se stessi e il prossimo.
Credere in "qualcosa", affidarsi a "qualcuno"... fiduciosamente "accogliersi" in se stessi.
L'aver fatto silenzio nell'animo alla ricerca di reconditi significati nonché risorse insperate, porta ad una grande crescita intellettuale e spirituale e ben presto tutto ciò che era bastato e persino avanzato... non soddisfa più.
Si cerca sempre e altrove, e poi come me... si può tentare l'azzardo... diventare "guaritore ferito".
In altri termini, persona informata dei fatti che si forma ancora strada facendo, quella stessa che fu la sua e poi ripercorre "tenendo per mano" . Magari provando già su questa terra la gioia del Paradiso.
Buona domenica Mary. Non sapevo della giornata del malato, comunque vorrei aiutare una persona che sta facendo dei controlli, sembra che abbia la "bestia" da qualche parte... ma non ne vuole parlare. Vorrei credere, e poter fidarmi di qualcuno anche per me, per i miei problemi... Grazie sempre per ciò che scrivi.
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